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Articles by Gabrielis Bedris

Mese

marzo 2015

L’Ucraina e gli oligarchi

Un anno dopo la caduta del governo di Viktor Yanukovich, è diventata molto traballante la speranza che il nuovo governo ucraino possa controllare la forza dei corrotti oligarchi e installare una nuova generazione di élite riformisti. Le vecchie élite ucraine e il loro modo di fare business è prevalente, rispetto a coloro che cercano di costruire un trasparente sistema politico e una moderna nazione costruita sullo stato di diritto. Finora la legittimità del nuovo governo non si basa su tracce di successo per promuovere le riforme, ma su fattori esterni: sulla capacità di rispondere all’aggressione russa e raccogliere sostegno in Occidente. Però non è esagerato suggerire che le prospettive di successo e di coesione a lungo termine del paese, siano determinate dalla sua capacità di perseguire riforme di vasta portata per modernizzare lo Stato, e verificare il potere degli oligarchi.
Le condizioni sono dure, in particolare per una profonda, irrisolta crisi umanitaria in Ucraina orientale, che ha lasciato più di 6.300 ucraini morti. Senza prossimi e importanti aiuti internazionali, mentre Kiev è distratta da una crisi finanziaria urgente, pullula la situazione umanitaria nella parte orientale dello Stato. La crisi dei rifugiati è in crescita, la capacità del governo centrale di gestire i flussi dei rifugiati, dovrebbe essere uno tra i principali indicatori a breve termine della performance. Nel frattempo, l’inflazione galoppante e la diminuzione dei salari impongono gravi difficoltà economiche sul ceto medio. A breve termine, i termini del piano di salvataggio del FMI porteranno ad aumentare la media della miseria, fatto che pochi in Occidente hanno scelto di riconoscere. Il governo, per esempio, sarà costretto a tagliare la spesa sociale e aumentare le tariffe dell’energia elettrica del 350 per cento prima del 2017. La produzione industriale è già diminuita del 22 per cento, la quale a sua volta ha causato un picco dei tassi di povertà e della criminalità; ma ha fatto anche aumentare la dimensione dell’economia sommersa. Gli oligarchi si stanno combattendo l’un l’altro, la proprietà e le imprese vengono espropriate dai criminali, mentre un certo numero di ex funzionari dell’epoca di Yanukovych, stanno morendo in misteriosi decessi, da cui si sollevano domande sulla stabilità politica del paese.
I funzionari del governo ucraino e i loro sostenitori in Occidente tendono a concentrarsi sull’aggressione russa, come principale motivo della fragilità politica ed economica dell’Ucraina; ma la sola guerra non dichiarata della Russia all’Ucraina, non può spiegare tutti i problemi ucraini. La corruzione, la cattiva gestione economica, le enormi debolezze nel settore finanziario, gli sforzi di riforma poco brillanti, le lotte intestine tra le élite e altri interessi, non sono invenzioni russe; piuttosto si tratta di problemi di casa che la Russia sta sfruttando molto bene.
La rivoluzione Euromaidan potrebbe aver portato via dal potere Yanukovich (come simbolo importante), ma non è riuscita a ridurre il ruolo che svolgono gli oligarchi nella politica ucraina o a legittimare pienamente il potere del governo centrale, soprattutto agli occhi degli oligarchi. Maidan è un importante simbolo della volontà popolare ucraina per una governance responsabile e trasparente; ma non ha cambiato il contratto sociale tra il popolo e il governo, perché i modelli di governo esistenti erano troppo forti. L’attuale governo ucraino è forse il più competente dopo l’indipendenza, tuttavia, non è ancora riuscito a imporre le significative riforme atte a modernizzare lo Stato o a ri-focalizzare la missione dello Stato quale servitore degli interessi pubblici in generale. Questo perché le forze politiche, i civili e i combattenti attivisti della società post-Maidan, sono ancora troppo deboli rispetto agli oligarchi.
La centralità degli oligarchi è stata ampiamente trascurata nel Maidan stesso. Avevano le loro ragioni per sostenere il movimento, anche se molti di loro hanno perso dei soldi, le posizioni e l’influenza, dovuto alla successiva aggressione russa; ma la fuga di Yanukovich ha direttamente minacciato i loro interessi.
Mentre Maidan è stato senza dubbio il movimento del “potere del popolo”, diretto contro un odiato regime corrotto, anche gli oligarchi hanno giocato un ruolo chiave nella mediazione del governo post-Yanukovich. E’ stato Dmytro Firtash, che, pur essendo agli arresti domiciliari a Vienna, che ha forgiato l’accordo che ha unito i partiti politici guidati da Poroshenko e da Vitali Klitschko, in vista delle elezioni presidenziali di maggio.
L’Ucraina di oggi continua ad essere gestita dagli oligarchi, anche se le dinamiche del potere tra i gruppi oligarchici si sono spostate drammaticamente. Ancora più importante, è in calo l’influenza generale degli intermediari tradizionali, coloro che avevano il potere derivato dal controllo delle attività metallurgiche e del carbone. Dopo aver perso 5,8 miliardi di dollari del suo patrimonio netto nel 2014, Rinat Akhmetov, l’uomo più ricco dell’Ucraina prima della guerra, ora sembra essere il più grande perdente. Tuttavia, rimane potente ed ha la capacità di mediare i rapporti tra Kiev (dove vive) e il Donbas (dove controlla ancora attivamente). Akhmetov ha legami con Aleksander Zakharchenko, l’autoproclamato leader della Repubblica Popolare di Donetsk, e si conferma che stia lavorando con ambedue le forze per la linea del cessate il fuoco. Il suo business dell’energia, però, è stato messo sotto pressione dagli amici dell’oligarca Igor Kolomoysky, che, fino a poco tempo fa, si pensava potesse essere il più grande vincitore dell’era post-Maidan, in termini d’influenza politica.
Nel frattempo, Firtash, che sta combattendo l’estradizione dall’Austria agli Stati Uniti, ha recentemente annunciato la sua intenzione di tornare alla vita politica. Lui, come altri oligarchi che hanno fatto le loro fortune nel sud e nell’est dell’Ucraina, afferma di sostenere un maggiore impegno occidentale, ma si sente disturbato dall’incapacità dell’Occidente di dare all’Ucraina ciò di cui ha bisogno, in particolare in termini geopolitici. Akhmetov, Kolomoysky, Firtash, e altri hanno anche un interesse per il decentramento delle strutture politiche ucraine. Poroshenko è stato abbastanza intelligente nel controllare questo processo, che viene gestito dalla Commissione costituzionale, guidata dallo speaker della Rada, Volodymyr Hroisman, un convinto sostenitore di Poroshenko.
La guerra nel Donbas ha portato ad un aumento del patriottismo in tutto il paese, ma la popolazione nel sud-est dell’Ucraina continua a nutrire simpatie filo-russe. Naturalmente, questo non significa che molti abitanti della regione in realtà vogliano essere governati da Mosca (né Mosca in realtà vuole annettere il Donbas) o, anche peggio, dai separatisti. I loro atteggiamenti sono modellati dalle crescenti legittime rimostranze per le carenze di governance di Kiev nella regione e per il peggioramento delle condizioni socio-economiche.
In Kharkiv, una città orientale che rimane vulnerabile alla violenza guidata dai separatisti, la collaborazione delle élite locali è stata la chiave per mantenere la stabilità. Quando gli “omini verdi” russi avevano iniziato a mostrarsi nella regione, non è stato il governo centrale che era arrivato in soccorso, ma è stato solo grazie agli sforzi congiunti del sindaco di Kharkiv, il ministro degli interni e un gruppo della protezione privata assunta da Kolomoysky, che sono riusciti a tenere la situazione sotto controllo. Questa era solo un’alleanza tattica. Ci sono nuovi attriti all’interno dell’élite regionale di Kharkiv, mentre la frustrazione popolare cresce con la vacillante economia di tutta la regione che potrebbe lasciare, ancora una volta, la città vulnerabile.
Odessa, una città del sud, lungo il Mar Nero, è altrettanto vulnerabile alla violenza separatista. Le frizioni tra le élite, insieme con una serie di torbidi legami con i gruppi criminali per il dominio dell’economia sommersa, creano un mix potenzialmente infiammabile. Fino a poco tempo fa, Odessa sembrava saldamente sotto il controllo politico di Kolomoysky. Il governatore regionale è conosciuto come uno dei “suoi uomini”, e il sindaco della città ha riferito che il governatore ha raggiunto un accordo con l’oligarca di Dnipropetrovsk. Eppure, Kolomoysky non ha il pieno controllo della regione, ora che lui ha ritirato i suoi battaglioni armati da Odessa, spetta alle forze di sicurezza garantire la pace.
Il conflitto con Kolomoysky e la sua destituzione dal governo come governatore di Dnipropetrovsk avvenuta il 25 marzo, potrebbe essere uno spartiacque. A suo credito, l’amministrazione Poroshenko ha cercato di proteggere gli interessi dello Stato; ma di fatto ha diminuito l’influenza economica di Kolomoysky, in parte eliminando le sue deleghe da Ukrnafta e Ukrtransnafta, società energetiche controllate dallo Stato, che sono state a lungo una sua vacca da mungere, anche se lui deteneva solo una quota di minoranza.
Come governatore di Dnipropetrovsk, Kolomoysky era un alleato chiave di Kiev nella guerra in Ucraina orientale. Ha schierato il suo esercito privato per combattere i separatisti filo-russi e per prevenire la diffusione di conflitti in altre regioni; ma lui sembra essere andato troppo lontano nell’attaccare gli altri oligarchi, mostrando il suo vero volto nella gestione del conflitto Ukrnafta e Ukrtransnafta. A questo punto, il rapporto tra Kiev e Kolomoysky non è in panne. Il nuovo governatore ad interim di Dnipropetrovsk non è un protetto di Kolomoysky. Sembra che ci sia stato un accordo tra i due uomini, che permette a Kolomoysky di mantenere i suoi interessi economici, mentre Poroshenko rafforzerà l’autorità centrale. Se è così, la minaccia dei battaglioni controllati degli oligarchi può essere sopravvalutata, quindi l’accordo di Minsk II può essere vivo.
La rimozione di Kolomoysky è solo una parte della storia, Poroshenko dovrà lavorare con gli altri per contenere eventuali ricadute. L’altra grande questione è se il resto degli oligarchi si ritrova nel mirino del regime di Kiev in vista delle prossime elezioni amministrative.
L’Occidente non ha altra scelta che sostenere quello che vede come i legittimi rappresentanti del popolo ucraino: il presidente Poroshenko e la sua amministrazione. Poroshenko sta cautamente costruendo l’autorità centrale a Kiev: una nuova legge dà al presidente il potere di nominare il capo della Guardia Nazionale, in aggiunta alla sua già notevole influenza sulla Banca nazionale, i ministeri della difesa e degli affari esteri e il nuovo ufficio anticorruzione. Egli può contare sui stretti rapporti con lo speaker della Rada, Volodymyr Hroisman e Oleksandr Turchynov, il capo della sicurezza nazionale e del Consiglio di difesa. Viktor Shokin, il nuovo procuratore generale, è stato a lungo uno stretto collaboratore di Poroshenko, e ha lavorato con il presidente sulla scia della rivoluzione arancione. Non ci sono prove che possano suggerire che Poroshenko abbia usato il suo potere politico per espandere i suoi interessi personali commerciali, eppure, Poroshenko è un oligarca, e dai suoi pari è visto in questo modo. Ha bisogno di continuare a bilanciare i gruppi concorrenti e individui, invece che ripetere l’errore di Yanukovich che puntava ad ingrandire la sua proprietà e il suo entourage; ma se non può offrire una vita migliore, un apparato statale funzionante e un governo efficace orientato verso l’UE, vincere la pace nella parte orientale, potrebbe significare molto poco.
I sondaggi suggeriscono che sia crollato il sostegno ucraino per l’integrazione con la Russia, mentre sia leggermente aumentato il supporto per l’Unione europea. Allo stesso tempo, gli integrazionisti pro-UE non hanno una ferma maggioranza. La crescente frustrazione con l’Occidente potrebbe eventualmente favorire una crescente simpatia verso la Russia. Non ci sarà un’altra U, naturalmente, l’Ucraina è sicuramente filo-occidentale; ma la vera domanda è se i suoi dirigenti e le élite lentamente torneranno alle collaudate leggi d’equilibrio tra est e ovest che aveva sviluppato l’ex presidente Leonid Kuchma.
Manipolando gli schemi di corruzione e giocando negli interessi delle élite ucraine, Vladimir Putin potrebbe trovarsi, paradossalmente, in grado di ristabilire l’armonia in Ucraina. Tale improbabile sviluppo, naturalmente, porterebbe l’Ucraina “indietro nel futuro”. Tuttavia, la “de-oligarcizzazione” è stata innescata, il voto parlamentare sulle recenti aziende Ukrnafta / UkrTransafta ha direttamente violato gli interessi di Kolomoysky. Le mosse del governo sono state ben coreografate e gestite, tutto è arrivato come una completa sorpresa per Kolomoysky. Lo spirito del Maidan sembra vivere, sta dando forze alla responsabilità civile e una notevole quantità di sostegno e fiducia alla società in generale. Le modalità d’intervento condizionate occidentali stanno svolgendo un ruolo che porteranno a cambiamenti legislativi sostanziali e a molte critiche.
Pertanto, l’Occidente potrebbe cambiare il suo atteggiamento, piuttosto che concentrarsi sul divario tra le parole del governo e le sue concrete azioni, con una politica realistica che sottolinei tutte le condizioni per poter proseguire. Dopo settimane di confronto politico, il parlamento ucraino ha approvato la legge di bilancio necessaria per il paese per ricevere il piano di salvataggio del FMI. Il processo di riforme sta guadagnando una certa trazione nei settori agricolo, energia, forze dell’ordine e nei servizi sociali. I canoni sugli appalti pubblici sono scesi; era il secondo cane da guardia della corruzione.
Se l’Ucraina continua a rimanere impantanata nelle sue attuali difficoltà, l’attuale quadro d’intervento per la politica occidentale è praticamente l’unica opzione. La sfida è per mol
ti versi simile a quella che c’era prima del Maidan. La palla è decisamente nei tribunali di Kiev.

GB

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Putin verrà messo in discussione solo quando inizierà a perdere

E’ chiaro che Vladimir Putin sta andando avanti con il suo confronto con l’Occidente come desiderano molti del suo cerchio; ma proprio come è avvenuto con Adolf Hitler, saranno proprio loro che lo cacceranno quando cominceranno a percepire le prime sconfitte, o il suo regime inizierà la discesa verso un salasso militare ed economico, sostiene Igor Eidman.
L’analista di Mosca mette in guardia contro alcune aspettative che Putin possa affrontare un colpo di palazzo, con un argomento basato su un ampio confronto tra il regime di Putin e quello di Hitler.
Il fascismo, Eidman sostiene, “è una malattia delle democrazie immature”, la Germania è uno dei molti paesi europei che lo hanno sofferto nel 1920, e la Russia, è affetta ora, con una politica e un sistema sociale che sono “approssimativamente al livello” di quei paesi. Infatti, “tanto della storia della Germania dal 1918 al 1938 e della Russia dal 1991 al 2015 corrisponde sorprendentemente”.
I punti, sottolinea il commentatore, sono cinque somiglianze. In primo luogo, egli paragona la Germania del 1918 alla Russia del 1991. Dopo la sconfitta in guerra, hanno perso il territorio ed i loro imperi, entrambi si sono sentiti insultati e feriti, entrambi hanno sostenuto d’aver perso per un presunto “coltello nella schiena”, ed ambedue hanno cercato vendetta delle loro sconfitte.
In secondo luogo, come molti altri critici, paragona la Germania di Weimar con la Russia di Eltsin. Entrambi hanno sofferto impressionanti cali del tenore di vita, l’indebolimento dei valori tradizionali e “la commercializzazione di tutti gli aspetti della vita”, la delusione con la democrazia e la continua popolarità dei gruppi restauratori.
In terzo luogo, Eidman indica le similitudini tra le vie percorse per arrivare al potere tra i due leader, i quali entrambi sono stati appoggiati da grandi imprese e politici borghesi. Sono stati aiutati dai parenti stretti dei precedenti governanti, ambedue hanno beneficiato della volontà degli oligarchi per un forte sovrano che potesse “proteggere i loro capitali e i privilegi” da una popolazione arrabbiata per l’instabilità.
In quarto luogo, egli osserva, tutt’e due hanno istituito un regime fascista. Hitler ci ha impiegato un anno, mentre Putin in 15 anni non è ancora riuscito a delinearlo del tutto. La ragione principale della lentezza di Putin a questo proposito, è che “a differenza di Hitler, Putin non proveniva dalla politica pubblica”, ma dai servizi di sicurezza.
Per quinto, Eidman confronta il regime di Hitler pre-1939 con il periodo di Putin di oggi.
Entrambi i leader hanno fissato come loro obiettivo principale “la vendetta per la sconfitta dei loro predecessori” e “il ripristino del precedente status del paese, come superpotenze nei loro confini storici”, un qualcosa che richiede una “politica estera d’annessione”.
Sul piano nazionale, hanno istituito un sistema di capitalismo monopolistico di Stato sotto il dominio di un “leader nazionale”; de jure (Hitler) o di fatto (Putin) hanno distrutto il sistema multipartitico che era esistito, sottoponendo l’opposizione alla repressione, del tutto nel caso di Hitler, mentre selettivamente nel caso di Putin. Hanno elevato il ruolo dei servizi speciali ad altezze inaudite.
Entrambi hanno trasformato i mezzi in agenti di propaganda del governo, promuovendo “un’ideologia sciovinista e xenofoba di stato e il militarismo”. Tutt’e due hanno incitato l’odio contro uno o vari paesi esteri. Hanno spinto il concetto di “cospirazione straniera”, come se i loro paesi fossero delle “fortezze assediate” e che qualsiasi opposizione fosse “una quinta colonna”.
– La somiglianza della Russia di Putin, con la Germania di Hitler sono evidenti, non ci sono molte differenze – scrive Eidman. La principale disuguaglianza è che “il processo di controllo delle autorità sulla società russa non è ancora stato conpletato”. Il terrore resta selettivo, non ci sono molte discriminazioni etniche e ci sono ancora alcuni avamposti di libertà nei media.
Ciò che è importante ricordare, continua, è che “Putin e il suo entourage, a differenza dei nazisti, non sono nazionalisti non etnici, ma piuttosto sciovinisti e clericali”. In proposito, la Russia di Putin assomiglia più alla Spagna di Franco, Horthy in Ungheria, o il primo Mussolini in Italia. Ma, come nella Germania di Hitler, le rimanenti libertà sono sempre più limitate.
– C’è un modo per uscire da questa situazione? – si chiede Eidman e suggerisce – che le speranze di una specie di colpo di palazzo siano illusorie, perché nella Russia di Putin, la classe dirigente è unita, tutti i dirigenti hanno fatto una loro scelta fascista e tutta la ricchezza della Russia è nelle loro mani. Per questo, sono stati costretti a “imitare riforme democratiche … ma non appena la privatizzazione sarà completata, la democrazia diventerà inutile e anche pericolosa” perché minaccia un cambio di potere, di conseguenza un cambiamento nel possesso delle cose. Non sorprende che, come Putin, l’élite veda l’autoritarismo come il loro santo protettore.
Di conseguenza, Eidman conclude, ci sono solo due possibili direzioni per la Russia: “ulteriori passi verso il fascismo, minacciando il paese con il terrore e il mondo con la guerra, o un collasso economico e il crollo del regime; ma lui, per essere rovesciato, deve prima iniziare a soffrire di evidenti rovesci.

GB

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La guerra consolida l’Ucraina

Il risultato della guerra di Putin è l’esatto opposto di quello che sperava d’ottenere: l’Ucraina non è crollata. Invece, Putin ha fatto consolidare lo stato, la nazione, l’esercito, l’apparato di sicurezza ucraino spingendo il paese verso l’UE, la NATO e le riforme.
Vista storicamente, l’attuale guerra russo-ucraina è il prodotto di quattro profonde cause e di una provocazione. In primo luogo, il collasso dell’impero sovietico del 1991 spinse il suo stato successore, la Russia, a cercare una “costruzione di un nuovo impero” per ragioni strutturali e ideologiche. In secondo luogo, l’emergere di un regime “fascistoide” (o quasi completamente fascista) ha fatto del rilancio imperiale, l’elemento centrale della strategia del super macho Vladimir Putin, e della sua auto-legittimazione. In terzo luogo, l’Unione Europea e l’espansione della NATO hanno messo l’Ucraina in un vuoto di sicurezza insostenibile, tra un’Europa, manifestamente disinteressata all’Ucraina e una Russia imperiale che sta facendo sempre più richieste per la sua sovranità. In quarto luogo, le “rivoluzioni colorate” in Georgia, Ucraina e Kirghizistan nel 2003-05 hanno minacciato direttamente il regime imperiale di Putin e la sua legittimità, costringendolo a fare una guerra contro la Georgia e a lanciare una serie di misure di protezione nei confronti dell’Ucraina e del Kirghizistan.
Infine, la rivoluzione Maidan in Ucraina nel 2014 è stata lo stimolo che ha portato Putin a sfruttare la debolezza post-rivoluzionaria del paese invadendo la Crimea e l’Ucraina orientale, nella speranza di promuovere l’impero russo e di consolidare il suo regime.
– La traiettoria normale del declino imperiale è il decadimento dei legami tra il nucleo dell’impero e le sue periferie o colonie, seguita da un progressivo logoramento territoriale. A volte gli imperi crollano all’improvviso, di solito come risultato di guerre. Nel caso sovietico, lo shock è arrivato da dentro. Una volta che Mikhail Gorbaciov aveva intrapreso la perestroika, a metà degli anni 1980, ha iniziato lo smantellamento del totalitarismo, ha sovvertito l’impero, con conseguente fine del dominio del nucleo russo alle sue periferie nel 1991. Diversi fattori hanno portato la Russia post sovietica alla “costruzione di un nuovo impero”. L’ex-periferia non russa è rimasta legata all’ex-core russo per l’energia, il commercio, la cultura e la lingua. Per facilitare e far continuare il dominio del nucleo russo, il Cremlino ha poggiato sulla relativa forza e sull’apertura delle frontiere. Lo stile del discorso sovietico imperiale, la cultura e l’ideologia sono sopravvissuti in Russia, come succede di solito negli Stati successori del post collasso, come la Germania di Weimar. L’opposizione alla demonizzazione, all’espansione della NATO e al nazionalismo ucraino erano parte di quella mentalità, che era evidente in Russia anche nel 1990.
– La Russia ha subìto tutte le conseguenze tipiche di un crollo imperiale: difficoltà economiche, umiliazione e perdita della fede. Sui democratici che hanno comandato la Russia dopo il collasso, caddero moltissime accuse. Boris Eltsin, che ha incarnato gli anni democratici del ‘90, ha lasciato l’incarico in disgrazia, mentre il suo successore, Putin, ha assunto il controllo nel 1999, promettendo di ristabilire un posto al sole per la Russia. Verso la metà degli anni 2000, Putin ha eviscerato le istituzioni democratiche russe ed è riuscito a costruire un regime fascistoide con tre caratteristiche istituzionali. La prima è stata l’autoritarismo standard: centralizzazione dei ministeri; subordinare le attività allo stato, limitare i diritti, formazione di massa dei movimenti pro-regime, controllo dei media, istituire un apparato di propaganda massiccia. La seconda è stata un’indiscussa suprema leadership: Putin. La terza un iper-maschile culto della personalità del leader e il neo-imperialismo, usato per legittimare il regime. Questo culto ha attinto e rafforzato il sessismo nella cultura politica russa. Il regime di Putin alla fine assomiglia a quello italiano e tedesco tra le due guerre, con Mussolini e Hitler.
– L’ampliamento UE-NATO ha creato una terra di nessuno tra la Russia e l’Europa, con la Bielorussia, l’Ucraina e la Moldavia che si trovano in un vuoto di sicurezza insostenibile. Espandendo le istituzioni economiche e politiche l’Europa ha effettivamente segnalato a Mosca che non aveva alcun interesse in questi paesi, proprio mentre le tendenze neo-imperiali della Russia stavano decollando e si stava consolidando il regime di Putin. Il tempismo non poteva essere peggiore. In effetti, se non nelle intenzioni, l’allargamento della NATO ha migliorato la sicurezza dei paesi come la Repubblica Ceca, la Polonia, l’Ungheria, la Slovacchia e la Bulgaria che erano di fronte ad una minaccia non concepibile per la sicurezza, la garanzia NATO ha coperto anche i Paesi Baltici, difficilmente difendibili. Ma non è riuscita ad estendere le garanzie di sicurezza a paesi come la Bielorussia, l’Ucraina e la Moldavia perché c’è stata un’improvvisa minaccia esistenziale che ha infastidito i russi. La NATO, un’istituzione in crisi e la Russia lo sapeva dalle sue numerose spie che brulicano a Bruxelles, che cosa poteva preoccupare Mosca che era il simbolo della “forza” mentre l’occidente rappresentava la “debolezza”?.
– Le rivoluzioni colorate erano la prima concertata minaccia esterna al regime di Putin, ma la sua risposta è stata spontanea e non pianificata. Il cambio di regime in Georgia, in Ucraina e in Kirghizistan, ha suggerito che il potere delle persone potrebbe avere successo. In Georgia la rivoluzione “ rosa” del 2003, mise al potere delle forze filo-occidentali, guidate dal presidente Mikhail Saakashvili. La determinazione per aderire alla NATO e alle altre istituzioni occidentali alla fine portò Putin a provocare una “piccola guerra gloriosa” nel 2008, che portò alla spartizione della Georgia. In Kirghizistan, Mosca s’oppose alla rivoluzione dei tulipani del 2005, ma poi ha imparato dal suo errore e ha sostenuto la rivolta nel 2010 .
Con questi quattro fattori, tutto ciò che era necessario per una guerra su vasta scala con l’Ucraina era d’avere una motivazione, che si è presentata sotto forma del Maidan del 2013- 2014, un movimento autenticamente democratico che annunciava l’abbandono ucraino del dominio imperiale russo, del fascismo radicalmente contestato, di Putin stesso. La percezione di minaccia di Putin dalla NATO ha avuto poco o nulla a che fare con una potenziale adesione dell’Ucraina all’Alleanza, poiché né l’Ucraina né la NATO avevano mai dato molto interesse uno per l’altro. La risposta di Putin a Maidan è stata d’annettere la Crimea, promuovere il separatismo nel sud-est dell’Ucraina e la guerra, alla maniera dell’attacco di Saddam Hussein contro l’Iran rivoluzionario nel 1980.
Per la prima volta dopo l’indipendenza del 1991, le persone e le élite dell’Ucraina sono unite intorno al governo filo-occidentale, con un’agenda pro-democrazia. Per la prima volta, l’Ucraina ha il supporto dell’Occidente. Anche se Putin è teso e la sua economia è tirata, ha perso l’Ucraina, la quale dovrebbe diventare più forte. Allo stesso tempo, la debolezza del regime di Putin è evidente; decadimento istituzionale e inefficacia, l’élite appare divisa, il culto della iper-mascolinità diminuirà come aumenterà l’età di Putin. La Russia soffre di degrado economico, calo dei ricavi d’energia, dolore dalle sanzioni occidentali, costi della guerra e la crescente assertività non russa. L’Occidente non può fare nulla per aiutare la Russia, se non cercare di proteggere se stesso, gli Stati in prima linea, come i paesi Baltici, la Polonia, la Moldavia, la Bielorussia, la Georgia, il Kasakistan e l’Ucraina e accettare e capire che l’Ucraina e la sua lotta sono fondamentali per la sua sicurezza.
Garantire l’indipendenza dell’Ucraina significa che l’Occidente deve decidere se disegnare l’Ucraina nella NATO o nell’Unione europea. Se, come molti analisti occidentali e politici discutono, la massiccia assistenza militare o l’adesione alla NATO potrebbe solo provocare Mosca a intensificare la sua guerra, allora l’Occidente non ha altra scelta, che trasformare l’Ucraina in un suo protettorato economico e politico, questo significa l’adesione all’UE. Tertium non
datur. Non c’è una terza alternativa.

GB

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Dimostrazioni in stile sovietico nel Caucaso del Nord 

Il 18 marzo, la Russia ha festeggiato il primo anniversario dell’annessione della Crimea. L’entità delle celebrazioni nella Russia meridionale sono state molto varie, secondo l’agenzia di stampa Kavkazsky Uzel, presente alle scene. Venti persone si sono riunite per le celebrazioni a Sochi, ma circa 13.000 si erano radunate nella città di Krasnodar. La variazione nello zelo delle celebrazioni della Crimea nelle repubbliche del Caucaso settentrionale è stato abbastanza consistente: circa 3.000 persone hanno manifestato nella città di Cherkessk, Karachaevo-Cherkessia, mentre 5.000 persone hanno partecipato alle celebrazioni a Nalchik, Kabardino-Balkaria e 1.500 hanno manifestato a Vladikavkaz, nell’Ossezia del Nord. La Cecenia, come sempre, ha raccolto il maggior numero di partecipanti a Grozny: 15.000 persone per celebrare l’anniversario. La natura formale delle manifestazioni era evidente, soprattutto nel Caucaso del Nord. L’evento a Vladikavkaz è durato solo mezz’ora.
I partecipanti alle celebrazioni nella città di Grozny, riferisce Kavkazsky Uzel, sono stati costretti a partecipare. Ramzan N., un dipendente di un ente governativo, ha spiegato al sito web: “Due giorni prima dell’evento, ci hanno informati che, alle 5 del pomeriggio del 18 marzo, avremmo dovuto prendere parte a una manifestazione a sostegno dell’annessione della Crimea alla Russia. Il 18 marzo, intorno alle 17:00, ci hanno dato una serie di manifesti e striscioni con ritratti di Putin e Kadyrov, poi ci hanno trasportato con i bus al centro della città. Molti studenti sono stati presi anche con la forza, contro la loro volontà”. Il dirigente di un’organizzazione non governativa (ONG) ha reso noto all’agenzia di stampa, che i capi dei dipartimenti governativi avevano ricevuto l’ordine dal governo d’inviare determinati numeri di persone all’evento pubblico, con l’obbligo di rispettare la richiesta.
Questo ritorno alle manifestazioni pubbliche a sostegno del governo in stile sovietico, sono state accompagnate con gli slogan e i proclami dell’epoca. Alla manifestazione di Makhachkala, nel Dagestan, il presidente dei sindacati, sponsorizzato dal governo, Abdulla Magomedov, ha proclamato: “i sindacati del Daghestan credono che i cittadini della Crimea, così come i cittadini di altri paesi, abbiano il diritto di decidere del proprio destino, non di vivere secondo le regole dettate loro dalle genti d’oltremare o dalle autorità di Kiev”. La Russia – ha aggiunto – ha evitato la guerra in Crimea con la preventiva annessione della penisola per salvare la sua popolazione dagli orrori della guerra, come quelli che vediamo in Ucraina orientale. I circoli reazionari dell’America e dell’Unione europea sono ossessionati da questo [dalla mossa prudente della Russia d’annettere la Crimea] e hanno dichiarato una guerra in sanzioni contro la Russia – ha continuato Magomadov – In queste circostanze, accogliamo con favore i popoli fratelli della Crimea, e fortemente protestiamo contro gli eventuali attacchi alla libertà e all’indipendenza della Crimea e della Russia. Siamo anche contro la politica statunitense di due pesi e due misure. No alle sanzioni, no alla guerra!”.
Il leader sindacale del Daghestan ha poi invitato il suo pubblico a serrare i ranghi attorno al leader nazionale, Vladimir Putin, per contrastare le trame dei nemici stranieri.
Tali rituali proclami e rassicurazioni sulle intenzioni pacifiche dell’Unione Sovietica, in netto contrasto con i loro omologhi occidentali che sostenevano la linea dura, erano abbastanza comuni durante il periodo sovietico. La differenza principale, naturalmente, è che oggi non c’è alcuna giustificazione ideologica per una lotta contro l’Occidente; ma solo vaghe motivazioni nazionalistiche impostate sui toni per una battaglia, con obiettivi altrettanto chiari.
Secondo i rapporti derivati dalle messe in scena, e nonostante la propaganda sponsorizzata dallo stato, i cittadini russi hanno diverse sostanziali sensazioni dell’annessione della Crimea. Un professore presso l’università locale di Grozny ha detto al Kavkazsky Uzel: “l’incorporazione della Crimea alla Russia è il più importante risultato russo degli ultimi anni. Se Putin non avesse integrato la Crimea quando lo avrebbe fatto? Il presidente Usa stava già cercando d’installare i missili su quel territorio, questo sarebbe stato una grande minaccia per la sicurezza russa”. Un altro professore di una scuola superiore ha riferito all’agenzia che secondo lui l’annessione della Crimea fosse stata “una grave violazione di tutti gli accordi internazionali e dei diritti dei popoli”, anche se ha approvato l’azione come un modo per evitare lo spargimento di sangue che si sta verificando in Ucraina orientale.
Questa frenesia patriottica, almeno in una certa misura incentiva il Cremlino a mantenere la guerra in corso in Ucraina e a tentare ulteriori palii territoriali. Allo stesso tempo, naturalmente, sia l’Occidente che i vicini della Russia sono ora più in guardia per ulteriori mosse aggressive. Questo pone dei vincoli alle prossime mosse di Putin. E’ plausibile che la leadership russa peserà sia le ripercussioni internazionali che le aspettative nazionali prima di preparare la prossima mossa di politica estera; però, quello che il Cremlino non può permettersi ora, è di non fare nulla.

GB

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Perché la nobiltà russa sostiene il Cremlino?

Lo scorso dicembre, un’emotiva difesa della guerra del Cremlino in Ucraina ha iniziato a girare vorticosamente su Internet. Tra le raffiche d’opinioni sulle azioni di Mosca, spiccava la provenienza di una particolare lettera aperta: i suoi autori erano i discendenti di alcune delle più potenti famiglie aristocratiche russe che erano fuggite dal paese dopo la rivoluzione bolscevica del 1917.
– La conoscenza del recente passato, vale a dire il passato della Russia pre-rivoluzionaria, ci offre l’opportunità, e con esso il dovere, per esporre le evidenti falsificazioni storiche che hanno portato al dramma attuale in Ucraina – riportava la lettera intitolata “Solidarietà con la Russia” – La Russia è accusata di crimini senza evidenza, e a priori la si dichiara colpevole.
Gli autori sostenevano di non poter più accettare le “quotidiane calunnie contro la moderna Russia … la sua leadership e il suo presidente, che, sono sottoposti a sanzioni e trascinati nella polvere contro l’elementare buon senso”.
Gli autori hanno accusato i gruppi militari del governo ucraino e pro-nazisti di distruggere la parte orientale del paese e d’uccidere la propria gente; ma la parte più importante dello scritto era riservato agli attacchi sistematici di quello che loro definiscono come associato al “Mondo russo”. “Noi parliamo di realtà storiche, geografiche, linguistiche, culturali e spirituali di una grande civiltà che ha arricchito il mondo e di cui siamo giustamente fieri”.
La lettera è stata scritta dal principe Dmitry Shakhovskoi, un rispettato studioso slavo che vive in Francia, e da sua moglie, Tamara, mentre è stata firmata da più di 100 principi, conti, e altri i cui nomi sono classificati tra i primi piani della Russia zarista, Tolstoj, Pushkin, Sheremetev. Queste famiglie mantengono una comunità affiatata in Europa sostenuta da serate e riunioni di gala.
Come i membri dei cosiddetti emigrati bianchi, che s’opponevano ai rossi durante la guerra civile che seguì la rivoluzione, i parenti dei firmatari avevano perso la loro enorme ricchezza, lo stato e la loro patria. Non sorprende che la lettera abbia avuto una valanga di copertura mediatica e di commenti sui blog e sui social media russi. Gran parte della reazione era concentrata su quello che sembrava essere uno sconcertante paradosso, anche se erano i più fortunati, infatti molti di coloro che sono rimasti vivi erano stati inviati nei gulag. Ora i loro discendenti stanno sostenendo il regime di un ex ufficiale del KGB, che aveva caratterizzato il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 come la più grande tragedia del ventesimo secolo.
Per quanto contraddittorio possa sembrare, tuttavia, il supporto al Cremlino, tra gli emigrati bianchi e i loro discendenti, non è certo nuova. Risale quasi alla rivoluzione, quando la nuova polizia segreta bolscevica aveva iniziato attivamente a reclutare russi che vivevano in Europa. Alcuni credono che la lettera di Shakhovskoi, rappresenti l’ultimo tentativo del Cremlino di sfruttare la comunità degli emigrati. Questo, potrebbe far luce su cosa esattamente il presidente russo Vladimir Putin, sta cercando di realizzare con la sua nuova Guerra Fredda con l’Occidente.
La macchina della propaganda del Cremlino ha abbracciato la lettera di Shakhovskoi. Un articolo del popolare tabloid Komsomolskaya Pravda, ha titolato “ Gli emigrati bianchi russi supportano ancora la Grande Madre Russia”, sottolineando come fosse un importante aspetto storico. “Per la prima volta dal 1941-45 – ha scritto un giovane celebre scrittore, il nazionalista Zakhar Prilepin – La Russia bianca e la Russia rossa, hanno superato la Russia e, a Dio piacendo, si sono incontrati per un nuovo futuro russo”.
Putin non si propone di stimolare il sostegno dei soli emigrati. Le molte centinaia di commenti sui social media che sostengono la lettera di Shakhovskoi, inclusi quelli dei francesi e di altri europei, hanno dichiarato d’essere influenzati dall’idea che gli scrittori hanno dovuto ricevere una speciale istruzione per capire le azioni del Cremlino.
La collaborazione tra gli emigrati bianchi e il Cremlino risale al 1920, quando la polizia segreta bolscevica cominciò attivamente a reclutare membri della cosiddetta prima ondata di emigrati, subito dopo che si erano stabiliti all’estero. Altri simpatizzanti avevano cambiato idea sui comunisti dopo la seconda guerra mondiale, quando molti credevano che Stalin avesse salvato la patria dai nazisti. Ingannati, molti emigrati ritornarono in Urss, solo per essere inviati ai gulag.
Nel corso dei decenni successivi, altri emigrati e i loro figli e nipoti s’insediarono in tutta Europa, negli Stati Uniti e si sono assimilati altrove nella società occidentale. Tuttavia, molti hanno mantenuto informali legami con l’URSS, frequentando ricevimenti dell’ambasciata sovietica ed eventi culturali organizzati dal Cremlino. Anche se le relazioni formali dei discendenti degli emigrati bianchi “con le nuove autorità russe dopo il crollo comunista nel 1991, sono rimasti fragili, alcune famiglie di esiliati hanno invano cercato di recuperare le loro ex proprietà. Più di recente, un pugno di alleati Putin ha guidato uno sforzo per coltivare nuovi legami con i discendenti dei russi bianchi.
Un giovane miliardario di nome Konstantin Malofeev viene accreditato di fornire un canale importante per la comunità bianca. E’ il fondatore di una società d’investimento, Marshall Capital Partners, lui si definisce un “uomo d’affari ortodosso”, oggetto di almeno due indagini penali per furto in banche controllate dallo Stato. Tuttavia, le indagini sono iniziate nel periodo in cui lui ha iniziato a giocare un ruolo centrale nel finanziamento e nel comando della ribellione separatista in Ucraina orientale, che Mosca ha alimentato con armi, soldati e con la propaganda basata sul nazionalismo radicale russo ortodosso. Novaya Gazeta, uno dei pochi giornali indipendenti rimasti in Russia, ha riferito che Malofeev fosse dietro un memo proposto al Cremlino, nel quale si parlava dell’annessione della Crimea e di parte dell’Ucraina orientale. Malofeev è vicino al capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill, con il quale ha contribuito alla stesura di una nuova legge per censurare Internet.
Le connessioni di Malofeev con i discendenti degli emigrati includono una stretta amicizia con il figlio di Shakhovskoi, che lavora a Mosca ed è sposato con la figlia di Zurab Chavchavadze, un principe georgiano, che è uno dei rappresentanti di un’ala dei Romanov, una grande famiglia russa. Malofeev dirige anche le fondazioni che sostengono i valori e i fondi russi ortodossi di una scuola privata diretta da Chavchavadze. Anche se la stella di Malofeev al Cremlino si ritiene sia diminuita dallo scorso anno, è chiaro che rimane uno di un piccolo gruppo di addetti ai lavori che svolgono un utile ruolo per il Cremlino.
Al di là del sostegno della lettera di Shakhovskoi per la guerra in Ucraina, la sua evocazione del “Mondo russo” dà un particolare tono sinistro. Putin ha utilizzato il concetto di posizionare Mosca contro l’Occidente, il che giustifica la sua pretesa di una sfera d’influenza di cui i russi credono che l’Ucraina sia la parte centrale.
Quando Putin annesse la Crimea l’anno scorso, ha affermato d’essere la tutela dei diritti dei russi all’estero, che è stata anche la sua motivazione principale per sostenere i separatisti in Ucraina orientale. Altri vicini russi temono che l’affermazione di Putin si possa estendere a loro. “La prossima potrebbe essere la Lettonia, che è il 40 per cento russa, o forse l’Estonia – dice Bondarev, che come alcuni altri critici del Cremlino mette a confronto la logica di Putin con la logica di Hitler per l’annessione dei sudeti cecoslovacchi nel 1939. Una nuova legge che definisce i “compatrioti” esteri, è stata promulgata due anni fa, insieme alla creazione di un nuovo dipartimento del ministero degli esteri dedicato ai “compatrioti”.
“Putin, come Stalin, sta guardando il dominio del mondo con il motto del “ Mondo russo”, che si combina con un’incredibile ondata di anti-americanismo – spiega Bondarev – Sconfiggere gli Stati Uniti è ormai un obiettivo dichiarato ufficialmente”.
I centri di propaganda appaiono nelle capitali occidentali con una proliferazione d’organizzazioni culturali apparentemente indipendenti, mentre sono finanziate dallo Stato e dai fondi privati di alcuni lealisti del Cremlino. Di centri simili ne sono stati aperti in New York, Londra, Parigi, Mosca, Washington, Milano e Madrid. Il coinvolgimento dei russi in Occidente è la chiave. “Hanno bisogno del sostegno degli emigrati per costruire il concetto di Mondo russo – spiega Bondarev.
La più ampia strategia di Putin per il Mondo russo comprende la creazione di un blocco di ex paesi sovietici guidati da Mosca, chiamato l’Unione economica eurasiatica, che la Russia ha lanciato quest’anno con l’Armenia, la Bielorussia e il Kazakistan. Il suo nome evoca “filo-eurasia”, una linea dura di un movimento nazionalista ideato da emigrati nel 1920 con sede in Francia, i quali pensavano che la Russia fosse più vicina all’Asia che all’Europa. Risorto nel 1980, è guidato da Alexander Dugin, uno stridulo ideologo che prevede un blocco strategico comprendente i paesi dell’ex Unione Sovietica, i paesi del Medio Oriente, compreso l’Iran. Senza l’Ucraina, però, l’unione di Putin rimane molto simbolica.
Putin non si propone di stimolare il sostegno dei soli emigrati. Mosca sta incoraggiando le simpatie d’entrambi i gruppi d’estrema sinistra e d’estrema destra, al fine di tenere divisa l’opinione pubblica occidentale. Questo è un vecchio gioco per Mosca: i partiti comunisti europei e gli altri gruppi hanno agito nello stesso modo durante la Guerra Fredda. Ora il Cremlino sta tranquillamente coltivando i partiti radicali di tutto il continente, tra cui alcuni che sono apertamente neofascisti, uniti dall’obiettivo comune di minare l’Unione europea.
Nonostante il paradosso, molti partiti d’estrema destra in tutta Europa, tra cui il francese Front National e il Partito della Libertà olandese, stanno esprimendo un forte supporto per Putin. La Russia ha anche legami con il partito ungherese nazionalista Jobbik, il partito del Popolo della Slovacchia e il movimento anti-UE, Attacco in Bulgaria. Il leader del Fronte Nazionale, Marine Le Pen, ha recentemente elogiato Putin, dicendo che “propone un modello economico patriottico, radicalmente diverso da quello che gli americani stanno imponendo su di noi”. Il suo partito ha preso un prestito del valore di 9 milioni di euro da una banca russa, alleata del Cremlino. Lo scorso anno, sia il Fronte Nazionale che l’anti-EU, UK Independence Party, del Regno Unito, hanno vinto 24 seggi al parlamento europeo.
Gli alleati del Cremlino e gli addetti ai lavori organizzano conferenze per mobilitare più consensi tra tali gruppi in Serbia, Svizzera e altrove. In Austria lo scorso maggio, Malofeev organizzò un incontro segreto di politici europei di destra, volti a combattere il mondo delle “lobby gay sataniche”. L’evento è stato messo in evidenza e stimolato da Dugin. Con la presenza dei membri del Fronte nazionale e del Partito della libertà austriaco, “sembrava un congresso di forze anti-europee – spiega un giornalista – Si dipingono come i sostenitori dei valori tradizionali che sono sotto attacco in Occidente, al fine di mobilitare l’opinione pubblica che la Russia sia la vera e propria casa della spiritualità”.
L’anti-americanismo del Cremlino supporta anche la sinistra in Europa. La nuova coalizione di governo della Grecia, guidata dal partito radicale di sinistra Syriza, ha fatto le onde per emergere come un potenziale alleato della Russia in seno all’UE. Il primo ministro Alexis Tsipras, ha contestato le sanzioni contro la Russia. L’anno scorso, durante un viaggio a Mosca, ha accusato il governo ucraino d’avere elementi “neo-nazisti”. Non è il solo. Il ministro della difesa greco, Panos Kammenos, è stato fotografato a Mosca lo scorso anno insieme con i deputati senior del partito Russia Unita di Putin, il ministro degli esteri Nikos Kotzias, è noto per avere amichevoli legami con Dugin, il quale è stato invitato ad Atene nel 2013 per tenere una conferenza sul ruolo del cristianesimo ortodosso.
Altrove in Europa, i comunisti e altri potenti gruppi di sinistra che hanno sostenuto l’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda, tendono ad essere solidali nei confronti della Russia. Non da ultimo in Francia, dove oltre il 60 per cento degli intervistati ritiene che il proprio paese abbia sbagliato a sospendere la vendita delle due navi portaelicotteri altamente avanzate alla Russia, dopo che ebbe inizio il conflitto in Ucraina. In tale contesto, la lettera di Shakhovskoi è stata molto efficace.
– Gli occidentali ascoltano gli emigrati – chiarisce Bondarev – La maggior parte delle persone non si preoccupa del conflitto in Ucraina. Ma un certo numero crede che l’America farà di tutto per restare al potere e che la Russia ha bisogno di bilanciare gli Stati Uniti.
Anche se non ci sono prove che il sostegno dei discendenti di emigrati “per Putin abbia ondeggiato significativamente i pareri in Russia o all’estero, la sua importanza sta in quello che rivela sulla sua strategia. Essa mostra che il Cremlino è in grado e disposto ad utilizzare i russi che vivono all’estero, anche quelli che non sembrerebbero alleati naturali del suo regime, come parte della sua cosiddetta guerra ibrida in Ucraina – afferma von Hahn -centinaia di migliaia, se non milioni, tutti come proxy di Putin”.
Non tutti hanno trovato l’appello di Putin sorprendente “sono persone per le quali l’impero è l’unica forma possibile e normale dello Stato russo” ha scritto un critico di LiveJournal. Tuttavia, la lettera di Shakhovskoi rappresenta un nuovo livello di supporto che ha sconvolto i membri del gruppo. “Queste sono discendenti di ex persone dissidenti, che vivono negli Stati Uniti, i quali stanno usando un termine bolscevico utilizzato per evocare la distruzione di un’intera classe sociale. I suoi antenati si staranno rivoltando nella tomba sapendo che la loro memoria è stata evocata a sostegno di un regime gestito da un funzionario del KGB”.
Anche così, la propaganda funziona. La stragrande maggioranza dei russi, più dell’80 per cento, acquista la narrativa del Cremlino che Putin stia ricostruendo la grandezza russa, nonostante l’incombente crisi economica che ha già spazzato via gran parte dei loro risparmi. Di fronte alla recessione di quest’anno, Putin farà certamente ancora qualcosa in più per spingere la linea in Occidente.

GB

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Vertici e una esercitazione militare

Il vertice Russia-Bielorussia-Kazakistan rinviato per la “scomparsa pubblica” di Putin, si è svolto venerdì scorso (20 marzo) ad Astana, in Kasakistan; ma il programma è stato tagliato e reso molto breve, tanto che l’unico punto per mettere in scena l’evento, sembra fosse stato il fatto di far apparire il presidente Vladimir Putin, intento ai suoi lavori abituali. I presidenti Nursultan Nazarbaev, e Alyaksandr Lukashenka, hanno trascorso molto del loro tempo per discutere i loro comuni problemi nelle relazioni con la Russia; avevano buone ragioni per ritenere che le difficoltà potrebbero aumentare, perché l’Unione europea, nel suo recente vertice di Bruxelles, ha lasciato invariato il regime di sanzioni contro la Russia. I leader europei hanno espresso diverse opinioni sull’utilità delle sanzioni; ma nessuno è stato pronto ad inviare a Mosca un segnale distensivo. La necessità di Mosca d’impegnarsi in un dialogo costruttivo è reale, crescente e sempre più pressante, ma sia i più stretti alleati della Russia che i suoi vicini interessati, hanno difficoltà a mettere in piedi rapporti stretti con il paese per il comportamento anticonformista e l’irregolare leadership.
La Bielorussia e il Kazakistan sono principalmente preoccupati per le ricadute della crisi economica russa, ma cercano anche di beneficiare delle sanzioni per ampliare le loro esportazioni agricole. Lukashenko è desideroso d’approfittare del confronto della Russia con l’Occidente per garantirsi un tranquillo relax dalle sanzioni, che in precedenza erano state imposte contro il suo regime. Putin, ha cercato di rinvigorire il progetto d’integrazione eurasiatica riciclando l’idea d’introdurre una moneta comune; ma Lukashenko e Nazarbaev hanno il sospetto che non avrebbero una voce pari in questa ipotetica unione finanziaria, che, d’altra parte, appare particolarmente inverosimile considerando l’attuale traballante stato del rublo russo. I loro dubbi nella leadership di Putin sono probabilmente aumentati per l’indifferente reazione russa nell’escalation dei combattimenti in Karabakh, anche se l’Armenia è un membro ufficiale dell’Unione economica eurasiatica dall’inizio di quest’anno.
L’Unione europea è tutt’altro che unita sul regime delle sanzioni, Mosca ha cercato di sfruttare le divisioni puntando in particolare sulla Grecia, l’ovvio punto debole nel comune corso della gestione della crisi. Tuttavia, la proposta di mantenere le sanzioni in vigore, fino a quando l’accordo di Minsk Due non fosse pienamente attuato, ha fornito un punto ovvio per forgiare una solida posizione dell’UE. Mosca è stata particolarmente infastidita dalla decisione europea di sviluppare un piano per contrastare la campagna di disinformazione russa. La propaganda russa infatti, è cresciuta in modo vizioso che sono necessarie speciali contromisure. In realtà però, il risultato di gran lunga più significativo del vertice di Bruxelles riguardava i primi passi nella costruzione dell’Unione energetica, che limiterà severamente la capacità di Gazprom d’applicare i suoi intrighi con il “gas politico”.
L’Unione europea non intende eliminare le importazioni di gas naturale russo, ma vuole assicurarsi contro i tentativi di alcuni fornitori d’abusare della loro posizione di monopolio nei mercati regionali. Così, l’Europa cerca di far rispettare le trasparenti regole di concorrenza di mercato, invece che i loschi affari preferiti dal Cremlino.
I recenti tentativi di Gazprom d’impedire gli storni di gas dalla Polonia e dalla Slovacchia all’Ucraina si sono dimostrati inutili e costosi, tanto che ora il gigante del gas russo è costretto ad offrire un nuovo e ragionevole prezzo scontato a Kiev, anche se l’Ucraina sembra aver dichiarato non voler acquistare ulteriore gas russo, per lo meno per l’estate, a partire dal primo di aprile 2015. Queste perdite s’aggiungono alla forte caduta dei ricavi del petrolio russo, mentre le lobby si stanno agitando perché devono chiedere sovvenzioni allo Stato invece che distribuire dividendi. Il governo non ha il potere di resistere a tali lobby mentre l’arrogante complesso militare-industriale respinge con fermezza i tentativi del Cremlino di distribuire uniformemente i fondi necessari per le spese di bilancio. Le rassicurazioni di Putin per una prossima ripresa economica, le promesse di una “amnistia” per il rientro dei capitali, sono tutt’altro che convincenti per gli imprenditori che hanno esperienza del racket sempre più palese dei corrotti siloviki (personale dei servizi di sicurezza). Molto più convincente è stata la decisione della General Motors di tagliare le sue perdite in Russia, fermando la produzione e la vendita dei suoi modelli Opel e Chevrolet, per la contrazione del mercato russo del 38 per cento a partire da febbraio 2015, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
L’economia russa sta degradando rapidamente ed è ostile al potere delle proiezioni, così che le dimostrazioni militari, potrebbero diventare sempre più aggressive per cercare d’impressionare la popolazione che il governo sta cercando di prevalere nel confronto con l’Occidente, sempre avverso al rischio. Gli esercizi militari della scorsa settimana del resto, hanno coinvolto 80.000 uomini dall’Artico a Sakhalin e Tskhinvali (Ossezia del Sud); anche se nessuno di tali giochi di guerra sarà possibile nei prossimi paio di mesi, perché questa settimana Putin firmerà il decreto sul progetto della primavera, in base al quale la metà dei più ben addestrati soldati russi verranno dimessi dal servizio militare. Il discorso nucleare è sempre più utilizzato a sostegno dei battaglioni di modeste dimensioni. La dichiarazione dell’ambasciatore russo in Danimarca, che le navi danesi sarebbero diventate “bersagli per i missili nucleari russi”, se questo paese scandinavo avesse scelto d’aderire al sistema di difesa missilistica degli Stati Uniti, è in sintonia con le rivelazioni di Putin, quando affermò che le forze nucleari strategiche russe fossero state messe in stato d’allerta quando invase la Crimea.
Mentre Putin crede nella propria infallibilità, i suoi cortigiani devono persistere nel rassicurarlo della fragilità dell’unità occidentale. Solo un’altra spinta, un altro paio di tangenti, essi sostengono, convinceranno alcuni del Trattato Nord Atlantico (NATO) che non vale la pena di lottare, o per coinvolgere alcuni membri dell’Unione europea che il regime di sanzioni è controproducente. Questa divisione deve essere raggiunta nelle prossime settimane, in tempo per l’offensiva estiva in Ucraina orientale, verso Mariupol e Melitopol (aprendo il corridoio di terra per la Crimea), per poi cercare di condonare il tutto in un nuovo vertice (Minsk tre), nel quale sarebbe stato compito della Francia e della Germania convincere l’Ucraina che la pace deve essere pagata con più concessioni. Questo desiderio strategico non è senza ragione, spetta all’Unione europea dimostrare la capacità di d’essere unita e bloccare con successo gli Stati Uniti nelle tattiche di bullismo russe.
Scoraggiare la Russia di Putin è un compito diverso e più difficile che contenere l’Unione Sovietica; governare correttamente prevarrà sempre sui furfanti.

GB

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La bugie di Putin non sono più plausibili

Vladimir Putin e il mondo hanno attraversato una soglia pericolosa: al leader del Cremlino non importa se le sue bugie sull’Ucraina o su qualsiasi altra cosa siano o no plausibili, perché vede che i suoi sudditi e molti in Occidente sono disposti ad accettare qualunque cosa dica piuttosto che dichiarare il contrario.
In una sua intervista la signora Liliya Shevtsova, un commentatore russo ora alla Brookings Institution, afferma che “la Russia ha raggiunto il punto in cui le dichiarazioni retoriche dei suoi leader non vengono mai messe in dubbio, anzi sono sempre e solo accettate come sacrosante verità.
Putin mente su alcuni punti e su alcune verità profonde delle condizioni del suo paese, suggerisce Shevtsova, le sue particolari bugie non devono essere esaminate per il loro contenuto di verità, ma per quello che celano, per quello che rivelano di lui e dei suoi piani futuri, per quanto sgradevoli possano essere.
– Se dovessimo considerare qualsiasi delle dichiarazioni di Putin nel corso dell’ultimo anno, dimostrano chiaramente che le sue parole sono prive di significato – spiega il commentatore -chiunque cerchi di usarle come base per prendere decisioni, inganna se stesso e perde del tempo inutilmente.
– Invece – continua Shevtsova – le parole di Putin devono essere comprese nel contesto dell’attuale situazione russa. Putin e la Russia sono spinti in un angolo, e, fuggire dal frangente senza perdere la faccia, è molto complicato.
Viste da questa prospettiva – chiarisce – le dichiarazioni di Putin sulla sua personale e diretta responsabilità per l’annessione della Crimea hanno il seguente significato: “Prima di tutto, Putin afferma che l’Ucraina non ha il diritto di autodeterminazione e identità nazionale, perché il suo messaggio di base è che i russi e gli ucraini sono un solo popolo. Allo stesso tempo, tuttavia, Putin ha parlato della necessità di una normalizzazione delle relazioni tra gli Stati, ma ciò che lui intende è molto diverso da quello che capiscono le persone normali. Di conseguenza, quest’ultima è una schermata di fumo, che da un lato non significa nulla, ma su altri punti nasconde qualcosa di veramente tragico”.
– Il Cremlino – dice – essendo stato spinto in un angolo, sta tentando di preservare la sua continuità, senza sapere come salvare la faccia.
E’ troppo presto per trarre una definitiva motivazione per cui Putin avesse parlato così apertamente del suo ruolo nel sequestro della Crimea, ma sembra che questo rappresenti un punto di svolta “nella ricerca del Cremlino di un nuovo mito, una nuova idea per il consolidamento russo, una nuova idea per la legittimazione del suo potere, uno staccato dalla morale e dal diritto internazionale.
Nello scorso anno, afferma Shevtsova: “il Cremlino aveva cercato di preservare un modello di ibrido: né pace, né guerra” perché questa politica segue l’Occidente e le organizzazioni internazionali, le quali non volevano un confronto, ma agendo sulle parole di Putin cercavano una via d’uscita tenendo conto solo di quelle, senza guardare le realtà sul terreno.
– In larga misura, la crisi ucraina e la guerra ibrida è il risultato dell’ambigua natura delle posizioni e dell’appassimento della linea tra finzione e realtà, tra mito e realtà – spiega – con l’attuale riconoscimento Putin, è tornato dal mito alla realtà.
In questo senso, le parole di Putin sono “positive” perché mettono fine alla situazione “illusoria”, in cui le persone avevano agito. “Ora abbiamo un riconoscimento completo politico di ciò che è realmente accaduto. Questo costringe gli occidentali, l’élite russa e l’élite ucraina a pensare in un nuovo formato”.
A quanto pare dopo aver concluso che i vecchi miti non erano più sul tavolo, “il Cremlino ha deciso” d’adottare una linea più dura utilizzando il ricatto nucleare. L’Occidente sta finalmente vedendo la duplicità della guerra “ibrida”. A dire il vero, “l’Occidente non è stato in grado di trovare un’adeguata politica verso la Russia, ma allo stesso tempo, non metterà fine alle sanzioni”.
Di conseguenza, i riconoscimenti di Putin per le sue azioni in Crimea, sono stati dei messaggi mandati in primo luogo verso l’Occidente, anche se la dottrina della distruzione reciproca assicurata rimane inalterata, ma nascondono ancora una certa amibiguità: non c’è bisogno di mettere queste armi sul piatto, sono già lì. Putin sta dicendo attraverso le sue mezze verità che lui è alla ricerca di una “mobilitazione più grande sulla base di un confronto” con un nuovo nemico, gli serve un qualcosa che giustifichi le sue azioni, la sua mente e anche le sue bugie.

GB

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L’articolo 5 e la NATO

La NATO l’anno scorso in Galles ha avvertito che qualsiasi mossa da parte delle forze russe in Ucraina orientale sarebbe stata altamente destabilizzante e avrebbe avuto dei risultati imprevedibili, compreso i paesi NATO, che avrebbero potuto fornire un supporto logistico e di intelligence ai militari ucraini, ma forse anche andare oltre.
Questo è quanto è successo e la situazione dove siamo oggi, con il rischio di un confronto diretto tra la NATO e le forze russe, più grandi ora che in qualsiasi momento dopo la fine della Guerra Fredda. La situazione è aggravata dal crescente apprezzamento che la Russia si è impegnata a fare nella guerra ibrida contro l’Ucraina, ma se queste tattiche fossero usate contro i paesi della NATO, come risponderebbe l’Alleanza?
È necessario un cambiamento fondamentale nella strategia, dobbiamo iniziare a riconoscere che la Russia non è più un paese che non potrebbe attaccare un membro NATO. La Russia è diventata una potenziale minaccia per la nostra integrità territoriale per cui deve ancora una volta, essere scoraggiata.
Non c’è alcun obbligo NATO per intervenire nel conflitto ucraino, perché l’Ucraina non è un membro dell’Alleanza, tuttavia, ci sono importanti questioni in gioco.
Il primo è il rispetto del diritto internazionale, che è alla base della sicurezza internazionale. Qualunque cosa si possa pensare della dichiarazione del presidente Putin, che la Russia userà tutti i mezzi disponibili, compreso un intervento secondo la logica del diritto umanitario internazionale per difendere i diritti dei russofoni che vivono all’estero, la NATO deve rifiutare e criticare aspramente qualsiasi interpretazione di questa politica che giustifica l’invio di forze in incognito, per sostenere le rivolte all’estero e annettere dei territori. Se la Russia ritenesse d’avere dei diritti per intervenire in Ucraina ai sensi del diritto internazionale umanitario, dovrebbe spiegare il suo caso pubblicamente, essere trasparente nelle sue attività. Non dovrebbe agire di nascosto, utilizzare bugie meschine, negare che non ci sono sue forze che combattono, negare che le sue unità missilistiche hanno abbattuto l’aereo di linea malese MH17, fingere d’essere il pacificatore quando in realtà è l’opposto.
La seconda questione importante per la NATO è l’impegno formale, a norma della Carta NATO-Ucraina del 1997 :“per sostenere la sovranità ucraina e l’indipendenza, l’integrità territoriale, lo sviluppo democratico, la prosperità economica e … il principio dell’inviolabilità delle frontiere, come fattori chiave della stabilità e la sicurezza in Europa centrale e orientale e nel continente nel suo complesso”. Anche se questo si ferma e non chiede azioni specifiche da parte della NATO, richiede però, che la NATO reagisca politicamente quando l’Ucraina viene attaccata. I membri della NATO che hanno firmato il Memorandum di Budapest nel 1994, hanno dato garanzie all’Ucraina come condizione per la sua rinuncia alle sue armi nucleari, per loro tale requisito è doppiamente sottolineato.
Il terzo e più importante problema per la NATO è la sua credibilità, in considerazione degli impegni fatti per mantenere la pace e la sicurezza nella regione, in particolare per sostenere l’integrità territoriale dell’Ucraina. Se la NATO non reagisce efficacemente contro il mascherato attacco ibrido di guerra russo sull’Ucraina, verrà indebolita la deterrenza in Europa, rendendo più probabile che un territorio dei paesi membri possa essere attaccato.
Per rispondere in modo efficace, la NATO deve affrontare questa sfida e disegnare tutto ciò che ha imparato per contrastare un’aggressione, evitando d’essere coinvolta in un conflitto diretto.
In particolare:
– i paesi della NATO devono rafforzare il loro sostegno all’Ucraina imponendo ulteriori sanzioni politiche, diplomatiche ed economiche contro la Russia, fornendo equipaggiamento militare e formazione, così come un supporto economico e umanitario per le persone colpite dal conflitto. Essi dovrebbero anche aiutare le autorità ucraine a rafforzare e dimostrare più attenzione alle preoccupazioni dei cittadini di lingua russa.
– La NATO deve aumentare gli sforzi nella diplomazia pubblica per dimostrare la colpevolezza della Russia nel conflitto e per contrastare la propaganda russa. La Russia deve essere etichettata come l’aggressore e non avere il permesso d’agire come paciere.
– La NATO deve aumentare urgentemente la sua disponibilità a condurre e sostenere una grande operazione militare in Europa orientale, come se fosse sotto attacco uno dei suoi membri.
Quest’ultima opzione è la più importante per la stessa NATO. Se si vuole scoraggiare qualsiasi attacco contro i membri della NATO, compresa la guerra ibrida, bisogna dimostrare una certa determinazione, capacità e disponibilità a farlo.
Il recente annuncio della NATO che stabilirà sei nuovi posti di comando sui suoi confini orientali e creerà una forza di reazione rapida di 5.000 soldati, è il benvenuto e va nella giusta direzione, ma non è sufficiente. Per convincere il presidente Putin, che qualsiasi attacco contro la NATO sarà per lui controproducente, è necessario trasformare il fondo delle prospettive della NATO e metterle su un immediato piano operativo.
La Russia ha bisogno di percepire che, in caso di una minaccia concreta contro ogni stato della NATO, tra cui un attacco ibrido mascherato, la NATO rafforzerà l’alleato sottoposto alle angherie con forze convenzionali sostanziali e che lo farà immediatamente, indipendentemente dal fatto che venga riconosciuta la paternità dell’attacco. Si dovrà rendere chiaro che ci saranno altre ripercussioni anche economiche e politiche, che la risposta della NATO non sarà necessariamente simmetrica o limitata a dirigere la difesa del membro attaccato.
Alcuni sostengono che passi come questi potrebbero agire da cerino e aumentare il rischio di un confronto con la Russia. Al contrario, la NATO deve significare lavoro o deve smettere d’esistere. Se si da l’impressione di mancanza di capacità e di disponibilità, si fraintende la promessa di difendere, si rischia d’invitare i potenziali aggressori a definire l’Alleanza un bluff, con risultati catastrofici. La deterrenza non può essere bluff, gli impegni di sicurezza non supportati, sono la peggiore forma di errore.
Se poniamo un occhio sulla politica di Putin, su ciò che lui definisce “estero vicino”, appare molto coerente. Egli sostiene una sfera d’influenza con il diritto di proteggere i “compatrioti” russi nel “mondo russo” contro le loro autorità statali, non vincolata per legge. Queste due affermazioni assieme si adattano perfettamente; ma sono in contrasto con i principi delle Nazioni Unite, l’OSCE e il diritto internazionale in generale.
Nel 2008 in Georgia, le azioni russe sono state parzialmente giustificate per il fatto che fossero eruttate per un conflitto preesistente. La reazione della NATO venne di fatto disattivata. Nel 2014 in Crimea, tale confusione esisteva: si utilizzò una forza travolgente per speronare uno Stato con l’annessione di un territorio. La reazione della NATO è stata in sordina, ma non efficace. Nel 2015 in Ucraina orientale, la Russia sta rubando un altro pezzo di terra, ma questa volta la NATO deve reagire con ferma decisione.
Per parafrasare Oscar Wilde, se trascuriamo un’aggressione e la consideriamo come una disgrazia, se ignoriamo due sguardi e li giustifichiamo come una disattenzione, se non rispondiamo in modo adeguato, sarebbe una stupidità.

GB

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La militarizzazione delle scuole

Poco tempo fa, il mondo commemorava il primo anniversario del rapimento di circa 200 studentesse nigeriane da Boko Haram; il sequestro di massa, visto un anno fa come una cosa senza precedenti, sembra ormai dopo una serie d’ulteriori rapimenti, come una tattica tristemente sempre più familiare dell’arsenale terrorista. L’impensabile del 2014, sembra voglia diventare un luogo comune d’esercizi futuri.
Un mese fa, 89 bambini, d’età compresa tra i 12 e i 15 anni, sono stati presi mentre stavano sostenendo gli esami di scuola nella città di Wau Shilluk, vicino a Malakal, nel Sud Sudan, sono stati portati da un noto signore della guerra il quale ha messo in chiaro che dovevano diventare soldati. C’è una stima di 12.000 bambini sequestrati ed arruolati dalle varie fazioni della guerra civile del paese.
In Pakistan nel frattempo, sta riprendendo la crudele attività di classi scolastiche come obiettivi dei terroristi, come nell’attacco alla scuola di Peshawar di tre mesi fa, dove 140 innocenti ragazzi e insegnanti, sono stati uccisi.
In Siria nel quarto anno di crisi, notiamo quasi due milioni di bambini costretti a fuggire in Libano, Giordania, Turchia e altri paesi, con pochi prediletti che riescono a riprendere la loro istruzione, mentre molti altri sono costretti a matrimoni precoci o al lavoro minorile.
Queste umiliazioni aumentano con un’esponenziale frequenza, mentre gli abusi e le violazioni dei diritti dei bambini, dall’Iraq alla Nigeria, dallo Yemen al Pakistan, stanno diventando sempre più comuni da 40 anni a questa parte.
L’autore di testi per bambini, JK Rowling, ha espresso di recente: “I bambini vengono ignorati perché, chi c’è che può essere messo a tacere più facilmente?” Ma è nostra comune responsabilità d’assicurare che le ragazze e i ragazzi a rischio non vengano ignorati, ma siano al sicuro.
In Sud Sudan, il 70 per cento delle 1.200 scuole, nelle principali aree di conflitto, sono chiuse, 36 delle quali sono utilizzate come basi di guerra per le fazioni militari. In Nigeria nel 2014, sono state distrutte un totale di 338 scuole, sono stati uccisi almeno 196 insegnanti e oltre 314 studenti, più di 276 studenti sono stati rapiti. In alcuni Stati c’è la percezione crescente che le scuole siano “zone di pericolo”, tali sensazioni stanno annullando i guadagni conseguiti dalle unità mirate alle iscrizioni scolastiche: vedono le scuole come rifugi insicuri. Questo è inaccettabile. Bisognerebbe fare tutto il possibile per assicurare che il 2015 venga visto come l’anno che porrà fine alle violazioni dei diritti dei minori. Ci sono una serie d’iniziative progettate per i prossimi mesi atte a trasformare il potenziale istruttivo e per andare in aiuto dei bambini: nel mese di maggio, il Forum Mondiale dell’Educazione si riunirà in Corea; nel mese di luglio, il governo norvegese ha convocato una conferenza a Oslo per coordinare i donatori. Più tardi, nel mese di luglio, ad Addis Abeba, si terrà la terza conferenza internazionale sul finanziamento dello sviluppo per discutere di come si possa finanziare l’istruzione e una nuova agenda per lo sviluppo sostenibile fino al 2050.
Questo è il momento d’agire. Per milioni di bambini l’educazione non può aspettare fino a quando finiranno le guerre civili e/o i conflitti. Anche se non fosse possibile garantire che i bambini possano essere sempre al sicuro, bisogna essere in grado di rassicurare i genitori e gli alunni di tutto il mondo che tutto è stato fatto per contrastare le minacce estremiste, in modo che i bambini possano esercitare il loro diritto all’istruzione in scuole più sicure e liberi dalla paura perpetua.

GB

Articolo reperibile anche su http://www.Javan24.it

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