Una nota del servizio stampa di Roshen ha annunciato, che a partire dal mese di aprile 2017, lo stabilimento dolciario della città russa di Lipetsk, verrà chiuso per motivi politici ed economici. “Dal 2013, a causa della limitazione russa per le importazioni ucraine, la produzione dello stabilimento è diminuita di ben tre volte tanto; ci sono state, e sono tuttora in corso, continue campagne diffamatorie politiche sia dei media ucraini che russi, ed inoltre tutti i beni della ditta sono stati sequestrati dalle autorità russe”, riporta la nota aziendale.

Gli impianti dolciari Roshen, sparsi in tutta l’Europa orientale, sono la spina dorsale dell’impero economico del presidente ucraino Petro Poroshenko. Il capo di stato ha promesso di vendere tutta la sua azienda, comprensiva di marchio, avviamento e beni, subito dopo la sua vittoria elettorale a presidente, ma finora non è riuscito a mantener fede alla sua promessa. Il conflitto d’interessi in cui è caduto, ha eroso parte della sua credibilità, soprattutto dopo la perdita dei dati Panama Papers della primavera scorsa, che lo hanno esposto ad accuse di evasione fiscale.

La squadra di Poroshenko ha difeso a spada tratta il presidente, affermando che la sua società offshore delle Isole Vergini Britanniche – apparsa nei Panama Papers – che aveva inglobato la ditta Roshen, fungeva da veicolo per trasferire la Roshen sotto le gestione di Rothschild Group. L’accordo fiduciario è stato firmato nel gennaio 2016, come confermato da Rothschild.
Per Poroshenko, possedere una fabbrica in Russia, e quindi pagare le tasse nel paese che ha annesso una parte dell’Ucraina e ne ha invaso un’altra, è difficile se non impossibile riuscire ad annullare le critiche alle quali il presidente è esposto nel suo paese.

Cedere un colosso di tale portata inoltre, non è molto facile. Tuttavia, Makar Pasenyuk, il direttore della società di investimento ICU, al quale Poroshenko ha dato l’incarico di vendere Roshen, in un’intervista dello scorso dicembre ha sostenuto, che ci sono dei potenziali acquirenti che hanno già eseguito la due diligence, ma che hanno qualche remora nel definire la transazione perché lo stabilimento di Lipetsk ha tutti i suoi beni sotto il sequestro delle autorità russe.

Lo scorso autunno, il presidente russo Vladimir Putin, ha sottolineato la vulnerabilità politica di Poroshenko, affermando ironicamente “che le imprese di Poroshenko in Russia sono state redditizie e di successo, ma i tribunali gli hanno imposto alcune restrizioni”. Per Poroshenko, comunque, la goccia che gli ha fatto travasare il vaso è stata quella arrivata durante il Forum economico di Davos di quest’anno dove, come riportato dal giornalista investigativo ucraino Dmytro Hnap, i delegati russi hanno “sparlato di Poroshenko” suggerendo ai diplomatici europei e americani che gli “affari di Poroshenko in Russia stanno andando molto bene, nonostante la guerra e le sanzioni” e che non è, quindi, una persona attendibile.

Come politico, la chiusura dello stabilimento russo per il presidente ucraino ha un senso logico, anzi forse lo doveva fare fin da subito, ma dal punto di viste economico e di quello di un uomo d’affari c’è sempre nascosta la speranza che qualcosa di positivo possa succedere, magari una vendita frazionata. Nel frattempo, Roshen ha ricevuto 72 milioni di dollari di dividendi dalla filiale di Lipetsk nel periodo 2014-2016.

Tuttavia, l’azienda di recente non è esattamente prospera. La produzione l’anno scorso è crollata da più di 10 mila tonnellate di caramelle a meno di 3.000, e all’impianto di Lipetsk sono state vietate le esportazioni verso tutti gli altri paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). L’impianto dolciario ha lamentato verifiche fiscali, ricerche, accuse di violazioni di copyright, boicottaggio delle sue caramelle, vessazioni nei confronti dei lavoratori da parte di OMON, la polizia anti-sommossa russa. Roshen finora ha licenziato 1.000 persone, e altre 700 resteranno a casa quest’anno.
Proprio come spiegato nel comunicato stampa di Roshen e per lo spiacevole commento avvenuto a Davos, sono state appunto le combinazioni politiche, economiche e di immagine che alla fine hanno avuto il sopravvento sul presidente e lo hanno spinto a chiudere il suo impianto in Russia.

Le prossime elezioni presidenziali in Ucraina si terranno nel mese di marzo del 2019, alle quali Poroshenko parteciperà per una sua rielezione, ma la sua azienda è un importante fattore di politica interna. Il capo di Stato, negli ultimi sondaggi non sta andando molto bene, solo un 10 per cento si è dichiarato disponibile a votare ancora per lui. Ora, con la chiusura dello stabilimento russo, il suo possibile rivale alla corsa presidenziale, Yulia Tymoshenko, che ha da sempre sostenuto che Poroshenko stesse finanziando l’aggressione russa “perché la sua fabbrica di Lipetsk paga le tasse in Russia” dovrà appoggiarsi ad altre motivazioni e cercare delle nuove carte giocabili.

In ogni caso Poroshenko, rimane sempre uno degli uomini d’affari più ricchi dell’Ucraina. Il suo valore è stato stimato di quasi 1 miliardo di dollari da Forbes.net.ua il giorno 26 gennaio. E, anche se dovesse vendere il marchio Roshen con tutti i suoi annessi, rimarrebbe in possesso di una banca, attività in industrie agricole, macchine da costruzione, compagnie di assicurazione, aziende di intrattenimento, vendita al dettaglio e media, secondo la sua ultima dichiarazione dei redditi.

In particolare, Poroshenko insiste sul fatto che non venderà 5 Kanal, uno dei più popolari canali d’informazione TV dell’Ucraina, che non è stato timido ad utilizzarlo come strumento porta a porta durante le sue campagne elettorali. L’apparente incapacità di Poroshenko, di riuscire a separare gli affari dalla politica, è probabile che sia il suo tallone di Achille e che continui a danneggiare la sua immagine pubblica, sia a livello internazionale, che in casa.