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Articles by Gabrielis Bedris

Mese

luglio 2015

La società russa è sempre più paranoide

Ieri, un manifestante nella via dell’ambasciata americana a Mosca, ha percorso decine di chilometri avanti e indietro per mostrare un manifesto “USA! Tieni le mani lontane dal Rus!” poi di seguito “Libertà! Patria! Putin!”. La paranoia è una modalità rigida di pensiero che spinge chi ne soffre a non fidarsi di nessuno, tranne che di se stessi e a dubitare di tutti. I temi di base dei pensieri paranoici sono orientati alla diffidenza e alla sospettosità, e in particolare a cosa gli altri pensino di lui e a come stiano tentando d’ingannarlo. La paranoia è contagiosa e si diffonde da persona a persona con la velocità di un’epidemia, e, se le autorità convogliano i pensieri paranoici attraverso le onde radio televisive, c’è poca speranza di sfuggire al contagio.
La diffidenza, il sospetto, la rissosità che permea e inquina i rapporti tra le persone, le accuse che acriticamente e in modo stereotipato uno rivolge all’altro, la negazione della possibilità di un dialogo che non si traduca in un alterco o in un pubblico dileggio, accompagnata dalla proiezione sistematica sull’altro delle responsabilità di programmi disattesi, dimostrano quanto gli aspetti, appunto paranoicali, siano operanti nel tessuto sociale attuale russo. Senza ascolto e comprensione non può esserci riparazione e superamento della crisi. Non si tratta quindi di applicare la politica alla psichiatria, ma la psichiatria alla politica, mettendo il suo sapere al servizio della polis.
Questo “virus della paranoia” è già in azione, circola nella vita dei cittadini russi, amplifica la diffidenza dello Stato nei confronti degli altri Stati, principalmente occidentali, coinvolgendo nello stesso processo i suoi sudditi che, a loro volta, ricambiano diffidenza e sospetto. E la Storia ci ha tragicamente insegnato che il passaggio, a volte indolore, dallo Stato di diritto a quello paranoico, non è improbabile. Un paranoico non è un pazzo; ma è semplicemente una persona ossessionata da una sola e prevalente idea, che categorizza subito come un nemico chi non la condivide.
Sono stato a Mosca circa un mese fa dove ripetutamente ho osservato un curioso fenomeno: mi sono seduto a chiacchierare in un bar con persone apparentemente normali, ma, quando un cameriere ha acceso un mega televisore piazzato su una parete del locale e questi ha iniziato ha divulgare notizie sull’Ucraina, gli occhi dei miei vicini sono diventati d’un tratto fissi, le persone si muovevano sulla sedia disarmonicamente, temporeggiavano prima di sorseggiare qualcosa, hanno cominciato a blaterare incoerentemente parole senza un nesso logico:”giunta”, “fascisti” e “l’uccisione dei russi”. Dopo circa un 15 minuti, finito il notiziario e partito un programma di musica nazionale, le persone sedute, altrettanto rapidamente, sono tornate la gente comune di prima, impegnate in una educata conversazione. Nella mente di una persona paranoica, le cose apparentemente incongrue si fondono in quello che lui vede come una visione coerente del mondo, diventa cieco alle incongruenze e si rifiuta di discuterne.
Non capisco come il popolo russo non riesca a vedere come le contraddizioni contenute nella propaganda ufficiale siano in aumento ogni giorno: da un lato, tutti capiscono che i soldati russi stanno facendo delle gesta eroiche nell’ostile Ucraina; ma se il presidente nega la loro presenza sul suolo straniero, allora le loro segrete imprese sembrano in un qualche modo superiori a qualsiasi altra azione eseguita senza ipocrisia: Ben fatto! Bravo!
D’altra parte, le news della televisione controllata dallo Stato incoraggiano gli spettatori a provare della giusta rabbia per le accuse occidentali, che definiscono la Russia come coinvolta nella guerra: dopo tutto, sostengono, l’Occidente ancora una volta sta cercando di diffamare la nostra grande madrepatria.
Come credere ad entrambi contemporaneamente? Si scopre che tutto ciò si adatta ottimamente nella mente del paranoico. La propaganda russa s’è adoperata per convincere il popolo russo che le forze ucraine hanno abbattuto nel Donbass il volo MH17: dalla mattina alla sera, un esperto russo dopo l’altro spiega al pubblico televisivo che l’aereo passeggeri è stato abbattuto da un missile lanciato da un altro aereo, mentre un secondo gruppo di tecnici sostiene che il missile Buk fosse stato sparato da terra e che questo fosse il vero il colpevole, il Buk chiaramente era ucraino, non russo. Tutto ha funzionato: i russi sono convinti.
Ma cavoli, c’è una novità: ora il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve esprimersi per creare un tribunale internazionale per individuare gli autori della tragedia; ma la Russia si oppone! Sembra che Mosca si stia contraddicendo. La Russia ha convinto i propri cittadini che ha tonnellate di prove dell’implicazione ucraina, quindi perché Mosca non supporta che un tribunale condanni l’ovvio colpevole? No, la Russia s’oppone categoricamente, ed usa il suo diritto di veto. Eppure gli spettatori russi non vedono la contraddizione. Mosca sostiene che la colpa è chiaramente dell’Ucraina, ma non può permettere che lo dica un tribunale, sarebbe come ammettere deliberatamente il senso di colpa russo, come sempre. Ognuno, il mondo, tutti sono contro la Russia: vogliono approfondire e studiare il disastro dell’aereo per il solo scopo di umiliare e accusare la Russia. Questa è la tipica logica del paranoide.
Gli individui paranoici portano anche profondi sospetti per quanto riguarda la diagnosi e il trattamento. Ci sono dei metodi e dei farmaci efficaci per il trattamento della paranoia, ma il paziente ritiene che il medico che gli prescrive la cura, il farmaco stesso e anche l’intero campo della psicoterapia, rappresentino un ulteriore tentativo di controllare le loro menti.
Lo stesso vale per le società paranoiche, esse percepiscono il desiderio di essere aiutate come un tentativo di umiliarle e persino di distruggerle.
Allora, qual è la soluzione? Purtroppo, non non ne vedo una.

Gabrielis Bedris

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Le riforme a Kiev sono lente, non a Odessa

Di fronte alle profonde difficoltà economiche e alla lentezza del governo nell’applicazione delle riforme, gli ucraini sono critici su tutto ciò che Kiev sta cercando di raggiungere: giorno dopo giorno, i contagiosi memi di Internet, aggiungendosi alla crescente disillusione nei confronti di euromaidan, dipingono un quadro di morte e distruzione; ma è troppo presto per perdere la fede, è il momento di guardare a sud.
Cinquanta giorni dopo la nomina a governatore della regione di Odessa di Mikheil Saakashvili, dopo molta speculazione sui rischi che erano insiti nella sua nomina, è giunto il momento di riconoscere il successo dei suoi primi passi: non solo l’ex presidente georgiano riesce a rompere le vecchie regole, ma ha anche stabilito degli standard senza precedenti di trasparente gestione amministrativa, ha dimostrato apertura ai bisogni dei residenti locali e ha proposto idee innovative per eliminare l’endemica corruzione.
Saakashvili merita ancora più credito se si considera la difficoltà del compito: Odessa è una delle regioni più corrotte dell’Ucraina; è controllata dalla mafia locale, russa e internazionale, Odessa e i suoi porti servono come punto di transito degli spacciatori, riciclatori di denaro sporco e strani commercianti, tutti intenti ad evadere le tasse. Saakashvili deve operare in sintonia anche con il sindaco Gennadiy Trukhanov, un imprenditore locale che ha legami con i gruppi criminali ed è un ex membro del Partito delle Regioni, oltre che dover tenere sotto controllo Igor Kolomoyskyi, il più potente magnate del Paese.
Negli ultimi due decenni, il governo centrale non ha affrontato la corruzione locale, non ha mai mandato reali segnali d’indagini contro i mafiosi locali, sia all’ufficio doganale di Odessa che alla direzione del controllo di frontiera della regione, nonostante le schiaccianti prove raccolte dopo la rivoluzione arancione, anzi il governo di Yushchenko, ha sprecato la sua propria occasione per perseguire i colpevoli. Igor Kaletnik, che ha servito come capo dell’ufficio doganale regionale di Odessa sotto l’ex presidente Leonid Kuchma, è riemerso all’orizzonte politico come una fenice con Viktor Yanukovich, diventando presidente dell’ufficio nel 2010. Kaletnik ha fedelmente servito la “famiglia Yanukovych” fino a quando non è fuggito anche lui in Russia assieme al suo padrino; eppure, alcuni dei suoi migliori amici sono ancora in città e passeggiano per le vie senza manette.
A differenza di altre regioni, dove gli attivisti della società civile hanno assunto posizioni importanti nel governo locale dopo euromaidan, Odessa è rimasta sostanzialmente invariata. I funzionari locali, che hanno servito sotto Yanukovich, hanno mantenuto i loro posti di lavoro e hanno messo da parte gli attivisti della società civile, secondo Anatoliy Boiko.
Nel momento in cui l’eroismo e l’energia romantica dell’euromaidan ha iniziato ad evaporare lasciando il posto al cinismo e ai dubbi, la decisione di Saakashvili di sostituire la vecchia guardia dei posti di governo locale con molte facce nuove, per lo più giovani, è una mossa rinfrescante. Saakashvili parla continuamente della necessità di spingere gli individui più talentuosi ai primi posti del governo, responsabilizzandoli con reali poteri decisionali.
Una delle prime decisioni di Saakashvili è stata quella di rendere il suo vice e capo della nuova agenzia degli investimenti di Odessa, Yulya Marushevska, un’attivista civica salita alla ribalta dopo il suo video su Youtube “Io sono un ucraino”; ha invitato Maria Gaidar, la figlia dell’ex primo ministro russo Egor Gaidar, come consigliere per le riforme sociali. La nomina di Gaidar ha lo scopo di dimostrare ai cittadini russi che l’Ucraina è un società aperta e democratica, che è desiderosa di lavorare con i vicini di mentalità libera.
Marushevska sta coraggiosamente ristabilendo la legge e l’ordine sulle spiagge di Odessa: un problema di lunga data, sempre sottoposto all’accaparramento illegale delle terre e alla distribuzione non trasparente degli appezzamenti di spiaggia. Marushevska ha aperto indagini sulla legittimità degli atti di compravendita dei territori e ha promesso di rimuovere i numerosi muri di cemento costruiti per separare le spiagge “private” dalla scena pubblica. Il 20 luglio, Saakashvili ha annunciato, che una spiaggia precedentemente controllata da un oligarca di Kiev, senza farne il nome, ora era diventata pubblica e pulita.
Saakashvili prevede di tagliare 800 persone dell’amministrazione regionale, oltre che sostituire tutti i 26 capi delle amministrazioni distrettuali locali, invitando i cittadini a partecipare al bando di concorso. Una commissione indipendente, composta da esperti internazionali ha intervistato i 2.700 candidati, scegliendone trenta per gli appuntamenti finali.
La prima vera mossa del governatore, che ha lasciato tutti di stucco, è stata di tenere il 14 giungo, una sessione di pianificazione strategica in collaborazione con il movimento civico Nova Kraina, alla quale hanno partecipato più di 700 attivisti civici provenienti da tutta l’Ucraina. Il tono dell’incontro è stato molto rispettoso, tutti i partecipanti alla riforma regionale hanno dimostrato che la vitalità della società civile ucraina è molto attiva e sentita.
Giorni dopo, Saakashvili ha tenuto un secondo incontro con le organizzazioni della società civile, su iniziativa della Fondazione Internazionale Rinascimento (IRF, il nome locale della Fondazione Soros), un promotore attivo delle riforme in Ucraina, durante il quale ha firmato un programma di partnership per coinvolgere la società civile a monitorare congiuntamente le gare locali, le indagini sui casi di corruzione e le revisioni dei bilanci locali.
Anche la riforma della polizia è all’ordine del giorno di Saakashvili. In collaborazione con Eka Zguladze, vice ministro dell’interno ucraino, il governatore ha promesso di lanciare un nuovo servizio di polizia a Odessa entro la fine del mese di agosto 2015: come per la nuova polizia di Kiev, dei giovani uomini e donne, con una reputazione incontaminata e posizioni intransigenti sulla corruzione, entreranno a far parte del personale della forza pubblica di Odessa.
Saakashvili si augura che il vice procuratore generale ucraino, David Sakvarelidze, sostituisca tutti i pubblici ministeri locali e i funzionari doganali attraverso un processo trasparente e competitivo. Il capo di nuova nomina del dipartimento dell’interno della regione di Odessa, l’ex vice ministro degli interni della Repubblica della Georgia, Gia Lortkipanidze, ha iniziato la sua opera tre settimane fa, da subito ha già aperto i primi procedimenti penali contro i poliziotti locali accusati d’aver intascato tangenti.
Saakaskvili odia la burocrazia, perché secondo lui lascia spazio alla piccola corruzione, per questo prevede di costruire entro la fine del 2015, come aveva già fatto in Georgia, un unico sportello amministrativo. Il nuovo centro garantirà in modo efficiente i servizi di uso quotidiano, come la registrazione in età prescolare, la registrazione delle imprese e i certificati di nascita.
Ma i passi più radicali devono ancora arrivare: il 19 luglio, Saakashvili ha annunciato che aveva prove sufficienti per coinvolgere Kolomoiskyi in casi di evasione fiscale e riciclaggio di denaro. “Questo è il motivo per cui [Kolomoiskyi] è così nervoso. Perché sa che è impossibile acquistarmi o intimidirmi… Ma è giunto il momento di riconoscere un semplice fatto, ha fatto molte cose buone per l’Ucraina, ora è il momento di calmarsi e di iniziare a pagare le tasse per il suo paese”. La retorica di Saakashvili, se supportata da azioni concrete, dimostrerà la sua disponibilità a tenere a freno gli oligarchi della regione. Allo stesso tempo, non può impegnarsi nella giustizia selettiva e astenersi dall’indagare la corruzione all’interno dell’amministrazione comunale di Odessa: finora, Saakashvili non ha criticato il famigerato sindaco di Odessa, ma deve prendere una posizione chiara e dimostrare coerenza.
Saakashvili può essere in anticipo sui tempi. Purtroppo, alcune delle sue idee rivoluzionarie non vedranno la luce del giorno in Odessa perché sono subordinate a passare dal parlamento, ma se percepisce che il parlamento ne ritarda l’adozione, potrebbe richiedere al presidente ucraino d’istituire per Odessa una “zona speciale”, dove potrebbe adottare delle leggi atte a sperimentare con coraggio nuove attività, per creare incentivi ed attirare gli investitori stranieri; certo che se Poroshenko si rifiutasse, legherebbe le mani di Saakashvili. A quel punto il governatore, potrebbe decidere di mantenere la sua posizione, far finta che tutto va bene e che le lente riforme sono in corso; oppure, in linea con il suo frenetico carattere, chiedere maggiori poteri e dimostrare rapidi risultati.
Qualunque sia l’esito, è difficile non essere d’accordo con Saakashvili, il quale sostiene che le reti clientelari degli apparati statali altamente burocratizzati e inefficienti non possono essere modificate da dentro, ma possono essere solo cambiate da professionisti innovativi in grado di rompere le vecchie regole imponendo al sistema nuove regole. In caso contrario, la rivoluzione sarà semplicemente un nuovo auto-divorarsi, come è già successo nei precedenti tentativi di portare la democrazia in Ucraina.

Gabrielis Bedris

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Quanto tempo Putin potrà continuare a non fare nulla?

Nelle ultime due settimane la Russia è del tutto scomparsa dalla scena internazionale, in particolare dopo il 14 luglio, dopo la firma dell’accordo internazionale della de-nuclearizzazione dell’Iran: infatti, fino a quando terrà la pausa della guerra ucraina, le opinioni di Mosca nelle relazioni internazionali attireranno poche attenzioni, in quanto la sua capacità d’influenzare le questioni globali sono ridotte all’irrilevanza; ma molto insolitamente, anche la politica interna è stata sostanzialmente silenziosa. Questo, nonostante l’evidente necessità del governo russo, per arginare la situazione in costante peggioramento, di prendere difficili decisioni sulle questioni economiche e sociali del paese. Come successo a marzo 2015, il presidente Vladimir Putin non è scomparso dalla scena pubblica; infatti viene riferito che abbia presieduto le riunioni del suo governo e nell’ultima settimana anche il meeting del Consiglio di Sicurezza. La riunione di governo ha considerato, come nella migliore tradizione sovietica, le prospettive del raccolto agricolo di quest’anno, mentre il Consiglio di Sicurezza ha affrontato la sicurezza delle leggendarie dissestate strade russe. Questa imitazione di leadership non riguarda gli indici di gradimento di Putin, che restano al sopra dell’85 per cento, ma non è certo, se questi in realtà riguardino la situazione del paese.
Il presidente Putin è chiaramente infelice del diminuito profilo internazionale di Mosca, ma il tentativo d’aumentarlo, ospitando a Ufà due settimane fa i vertici del gruppo BRICS e della Shanghai Cooperation Organization (SCO), ha prodotto pochi dividendi. Putin può fantasticamente elevarsi a leader di un mondo anti-americano, ma l’India o il Brasile hanno poco tempo per queste fantasie, mentre la Cina è profondamente preoccupata della salute della sua economia, oltre ad aver appena notato che il suo commercio con la Russia è diminuito di circa un terzo dall’anno scorso. La Russia è stata usata come un giocatore importante nella contorta cattiva gestione del conflitto siriano, ma attualmente la Turchia si sta trasformando in un attore militare senza chiedere il parere del Cremlino, nonostante le cordiali relazioni personali tra Putin e il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan. In precedenza, le vendite energetiche russe non mancavano mai di far aumentare l’importanza regionale russa, in particolare nel mercato europeo dell’energia; ma ora l’Unione europea si oppone fermamente ai piani di nuovi “corridoi” del gas naturale russo, mentre la Cina sta mostrando scarso interesse nella costruzione delle lunghe e discusse tubazioni.
Putin non può non vedere che l’economia stagnante della Russia sta minando le sue ambizioni per un posto di rilievo tra le “potenze emergenti”che possono essere inclini ad eliminare o smantellare l’egemonia degli Stati Uniti; anche se queste, prima di tutto, privilegiano l’obiettivo di raggiungere un dinamismo economico. Pochi investitori sono convinti delle smentite di Putin sulla crisi russa e sulle sue promesse di un’inevitabile ritorno a una forte crescita; ciò nonostante, il governo deve attenersi a queste linee guida, così mantiene il taglio delle spese di bilancio, mentre manca di qualsiasi coerente politica anticrisi. Le statistiche ufficiali, nel frattempo, hanno registrato un calo del 4,7 per cento del PIL nel secondo trimestre, rispetto allo stesso periodo del 2014; e la dolce slitta del prezzo del petrolio, spinge la valuta russa in basso, verso i 60 rubli per dollaro. L’indebitamento esterno resta fortemente limitato, che converte i capitali in fuga, pari a 52,5 miliardi di dollari da inizio anno, mettendo ancor più in risalto il disastro degli investimenti interni. Il calo che si deposita sui redditi reali, si combina con i tagli ai programmi sociali, mentre il ministro delle finanze, Anton Siluanov stima che, anche se l’inflazione raggiungerà il 15-16 per cento di quest’anno, le pensioni saranno indicizzate solo del 5 per cento.
Il Cremlino non può davvero sapere, quando questa stretta sulla classe media e l’impoverimento dei pensionati, potranno raggiungere la massa critica del malcontento; ma cercando di evitare un’esplosione di proteste, i “tecnologi” politici di Putin, hanno spostato persino la data delle elezioni della Duma di Stato a settembre 2016, perché, secondo loro, dovrebbe fornire una distrazione dal senso di vuoto della recessione. L’opposizione liberale sta cercando d’approfittare di questo spiraglio di spazio politico per il lancio di diverse campagne regionali, ad esempio a Novosibirsk; mentre il ben noto blogger russo, Alexei Navalny, rimane inesorabilmente attaccato al suo messaggio di esporre l’alto livello di corruzione. I subordinati di Putin rispondono con la solita combinazione di repressione e frodi, ma vedono anche la necessità di chiudere i pochi restanti canali che collegano la società civile russa con l’Occidente, compreso il lavoro della Fondazione MacArthur. I seguaci di Putin possono riuscire a far tacere le voci progressiste, ma non possono spegnere il malcontento tra le élite, che incontrano la concentrazione del processo decisionale ai massimi livelli e la completa eliminazione della razionalità nelle decisioni, mentre il presidente Putin, secondo Mikhail Khodorkovsky, ha perso il controllo di se stesso e anche quello sul suo partito.
L’esercito, un’istituzione che si suppone sia un solido pilastro del potere di Putin, sta mostrando crepe pericolose: le esercitazioni hanno lo scopo di scoraggiare i paesi europei da seguire la guida americana nel dissuadere la Russia; ma una serie di incidenti aerei militari hanno sottolineato l’usura della forza aerea. Gli investimenti sostenuti nel riarmo, dovrebbero dimostrare l’impegno russo per costruire la sua potenza militare, ma l’industria della difesa non riesce a consegnare quanto ordinategli per il combinato impatto di degrado, corruzione e sanzioni. L’implementazione di un forte raggruppamento di 50.000 forze di terra al confine con l’Ucraina ha lo scopo di sostenere la minaccia dell’invasione; tuttavia, queste stanche truppe sono demoralizzate dalle ufficiali smentite dell’esistenza di battaglioni russi all’interno della zona di guerra. La pausa nelle ostilità può sembrare un gioco politico intelligente, infatti sta concedendo a Putin la possibilità di tenere regolari conferenze telefoniche con il presidente francese François Hollande e il cancelliere tedesco Angela Merkel, ma l’esercito russo non riesce a mantenere per tutta l’estate questa alta prontezza e postura orientata all’offensiva.
Putin ha sempre preferito posporre le decisioni fino all’ultimo momento possibile, oltre che mantenere i suoi luogotenenti e le controparti internazionali, al buio delle sue intenzioni. Quest’estate, però sta senza dubbio perdendo tempo, la manovra è in un angolo, l’unica via di fuga sarà quella di lanciare un altro spasmo di ostilità in Ucraina orientale, con la speranza che una vittoria possa annullare tutti gli altri problemi. I rischi sono spaventosamente alti, Putin li ha evitati per un’altra settimana; ma ora agosto si sta avvicinando, questo è un mese che tradizionalmente ha portato multipli disastri alla Russia.

Gabrielis Bedris

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Il Cremlino pubblicizza false manifestazioni separatiste a Lviv

Due organizzazioni locali di sinistra il 17 luglio alle 11:00, avevano in programma di mettere in atto un picchetto davanti al palazzo della Regione di Lviv; tuttavia, la manifestazione non ha avuto luogo, anche se più tardi c’è stato uno sprint di telecamere in un luogo lontano circa 300 metri dal palazzo amministrativo. Gli striscioni recitavano: “status speciale per la Galizia, una reale autonomia per la regione di Leopoli”; “Basta alimentare i ladri di Kiev!”, “Più autogoverno per la Galizia”. I partecipanti portavano bandiere ucraine e altri striscioni blu e gialli: era perfetto, tutto perfetto per la propaganda russa.
I leader occidentali stanno premendo l’Ucraina perché accontenti le richieste russe e offra l’autonomia alle cosiddette “Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk”; ma, secondo i media russi, farebbero bene a prendere atto, che altre parti del paese desiderano l’autogoverno.
Il 17 luglio a Leopoli, una ventina di persone hanno organizzato una dimostrazione con alcune bande di tessuto colorate chiedendo maggiore autonomia per la Galizia. L’azione non è durata di più di cinque minuti, ma è stata presentata ai canali russi pro-Cremlino come una grande esibizione di tre mila persone che hanno bloccato le vie centrali della città; una relazione su Rossiya 24, lo ha ritenuto un “nuovo problema per Kiev”.
L’evento ha una forte somiglianza con la bravata del 19 marzo a Odessa, anche se più agghiacciante, perché le false manifestazioni, se precedute da esplosioni di bombe, presumibilmente riflettono un aumento dei sentimenti separatisti. In Odessa, i primi atti di terrorismo, ci riportano all’aprile del 2014, mentre ora a Lviv ci sono state tre offensive nelle ultime tre settimane. Più di recente, due agenti di polizia sono rimasti feriti in due esplosioni al di fuori delle stazioni di polizia; tali fatti, la televisione russa li ha presentati il 14 luglio, come bombardamenti legati a un conflitto tra il settore destro e la polizia. I commentatori ucraini suggeriscono che, se i fatti sono collegati, allora significa che le due bombe di Lviv, molto probabilmente, sono state poste dall’FSB russo. Non è chiaro se i due attentati erano una diretta conseguenza degli eventi di Mukacheve, tuttavia, dal momento che la prima esplosione, è avvenuta il 25 di giugno, chiaramente precedeva i fatti di Mukacheve.
A Lviv, “il gruppo è apparso alle 17:30 del 17 luglio, sulla via Horodotska, vicino al Circo, correvano per la strada intrufolandosi nelle vie laterali come i topi, poi si sono dispersi in diverse direzioni in modo da non essere intercettati e catturati – ha scritto Ihor Zinkevych, un responsabile dell’iniziativa civica, Varta 1 (un gruppo di guardie civiche). Il gruppo Varta 1, allertato dai residenti, è arrivato sul posto in cinque minuti, ma ha solo constatato la scomparsa dei partecipanti.
La manifestazione apparentemente è stata organizzata da due organizzazioni locali di sinistra, il gruppo comunista Halytsky Yastrub e Zakhyst Suspilstva. Poco si sa di Zakhyst Suspilstva, ma Zaxid.net, scrive di precedenti tentativi del leader di Halytsky Yastrub, Dmytro Lyashchenko, che “organizza provocazioni con simboli comunisti in città”. Il 10 maggio, dopo la festa per il Giorno della Vittoria, Lyashchenko girava per Leopoli con una bandiera comunista e il nastro di San Giorgio. Il nastro è stato utilizzato nel corso degli eventi che segnano il 70 ° anniversario della vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista, ma per la maggior parte degli ucraini è generalmente associato all’aggressione russa in Crimea e nel Donbas. Lyashchenko è stato aggredito, chiaramente era l’obiettivo, in modo che i media russi potessero richiamare l’attenzione di un attacco contro un giornalista di Lviv che sosteneva i veterani di guerra.
I tentativi russi di presentare Lviv come un focolaio di nazionalismo non sono una novità, ma la bravata del 17 luglio è stata un qualcosa di più preoccupante.
I resoconti dei media russi hanno mescolato un paio di dettagli, il che suggerisce che le informazioni erano state preparate in anticipo rispetto all’evento, e che l’avvenimento è stato solo messo in scena per la ripresa cinematografica.
I due gruppi, Halytsky Yastrub e Zakhyst Suspilstva avevano notificato alle autorità il loro piano di picchettare il palazzo della Regione di Leopoli il 17 luglio alle 11:00; il settore destro nel contempo, aveva fatto sapere che sarebbe intervenuto per fermare la dimostrazione; poi, alle 11.00 in punto, si sono trovati sul posto la polizia, il settore destro e i giornalisti, ma nessuno dei richiedenti. Naturalmente è possibile che la fonte originale non fosse stata a conoscenza, o avesse deciso d’ignorare il fatto che il picchetto in programma non si sarebbe concretizzato; possibile, ma improbabile. Bagnet.org, ha una reputazione macchiata ed è tutt’altro che una fonte di corrente principale, mentre i canali russi come Rossiya 24, e Life News, hanno riferito la stessa storia nel giro di un’ora.
Il raduno, come previsto, non ha avuto luogo, ma lo sprint di cinque minuti con le telecamere si è tenuto più tardi, non davanti all’edificio regionale di Lviv.
La rappresentazione ha prodotto tre foto destinate a suggerire un grande evento: Rossiya 24 le ha mostrate tutte e tre, affermando che il settore destro ha cercato di fermare la protesta che si è conclusa al di fuori del palazzo della Regione di Lviv. Da lì, il canale, si è poi trasferito a Mukacheve, con lo stesso tema chiave: il conflitto, la mancanza di unità e le richieste di una maggiore autodeterminazione. I media russi non hanno mostrato le 7 foto, ampiamente documentate, in cui venivano pagati i 20 partecipanti per il loro zelo separatista.
Anche se ci fosse stata una grande manifestazione di 3000 persone a sostegno dell’autonomia in Ucraina occidentale, non sarebbe necessariamente stato un problema. Questo è qualcosa che Mosca non capisce. I modesti tentativi d’invocare una maggiore autonomia, a Mosca l’anno scorso hanno portato a dei procedimenti penali, con gli attivisti messi sulla lista dei terroristi russi e diffusi dai media; ma una falsa protesta, in un contesto di vere esplosioni, è inquietante. A Lviv c’è una chiara evidenza d’incoraggiamento russo, se non la creazione, di movimenti separatisti, come a Odessa e in Transcarpazia. In questa luce, le illusioni occidentali che Mosca, dopo che l’Ucraina avrà concesso l’autonomia all’occupato Donbas, ponga fine alla sue richieste, sembra pericolosamente fuorviante.

Gabrielis Bedris

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L’Ucraina accetta l’emendamento costituzionale a vantaggio della Russia 

Il contesto internazionale dei negoziati per attuare l’armistizio di Minsk sta cambiando in favore della Russia, mentre, l’amministrazione di Barack Obama, la principale forza occidentale, sta effettivamente facendo molte pressioni sull’Ucraina affinché legittimi le autorità di Donetsk e Lugansk nella costituzione e attraverso le elezioni; questo soddisferebbe, in questa fase, le principali richieste (con altre in attesa) russe.
Il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande recentemente, non erano riusciti ad ottenere da Kiev ciò che desiderava la Russia; ma dai gradini gerarchici inferiori, l’assistente segretario di Stato Victoria Nuland, e il vice presidente, Joseph Biden, hanno reso le sollecitazioni sull’Ucraina un successo. 
Sempre più spesso l’oggetto dei negoziati è l’Ucraina e la sua propria costituzione, cioè, che l’ordinamento contenga le richieste russe d’inserire le sue deleghe di Donetsk e Lugansk nel sistema politico ucraino. L’attenzione alla costituzione significa che l’Ucraina stessa, invece che l’aggressione russa, è diventata l’oggetto dei negoziati. In questo senso, il processo diplomatico si sta rapidamente trasformando in trattative “su” e una potenzialmente “finita”, Ucraina.
Le potenze occidentali ora sostengono che l’Ucraina abbia degli “obblighi” costituzionali ( una nuova parola) nei confronti della Russia, nel quadro dell’accordo di Minsk Due del 12 febbraio; gli “obblighi”, anche se questi non fanno parte di un “accordo”, sono un diktat e non una fonte valida per degli obblighi onerosi ucraini, anche se questo sistema è entrato nella normale pratica diplomatica; ma la diplomazia occidentale non supporta l’Ucraina per togliersi dagli “obblighi” politici del diktat del Cremlino.
Nessun potere occidentale aveva mai tenuto la Georgia, la Moldavia o gli altri paesi aggrediti dalla Russia, sottoposti a “obblighi” politici (figuriamoci costituzionali) verso Mosca o i suoi proxy. L’Ucraina è la prima che sta vivendo questa pressione occidentale, anche se questo messaggio non è sorprendente da Berlino, e non certo scioccante da Parigi, ma è solo Washington che può far rispettare quegli “obblighi” all’Ucraina.
L’assistente segretario Nuland ha agito come esecutore durante la sua visita del 15 e 16 luglio a Kiev. Da lei gli “obblighi” sono stati descritti con pressioni molto forti, come non era mai successo con qualsiasi altro diplomatico occidentale; la Nuland ha prevalso sul presidente Petro Poroshenko e sui leader parlamentari, ha fatto approvare un emendamento costituzionale che, se confermato nelle successive votazioni, inserirebbe i proxy armati russi di Donetsk e Lugansk come attori legittimi del sistema politico ucraino.
Dal punto di vista politico interno della Casa Bianca, Nuland era l’ideale per un tale incarico, in quanto è il funzionario di questa amministrazione più disposto nei confronti dell’Ucraina, gode di una fiducia senza precedenti al Congresso, in particolare nella politica sull’Ucraina. A Kiev, è sembrato sconvolgente che Nuland, con tutti i possibili emissari, esigesse delle concessioni costituzionali in favore della Russia a spese dell’Ucraina; ma a quanto pare, doveva eseguire degli ordini provenienti dall’alto. Il fatto che una “semplice assistente” del segretario forzi la mano del presidente ucraino, nel frattempo, sembra normale che Kiev stia riflettendo l’influenza degli USA e che ci sia una dipendenza ucraina dagli Stati Uniti.
Mosca ha pubblicamente insistito che gli Stati Uniti da soli avessero la leva per fare pressione su Kiev per ottenere le concessioni che lei voleva. Il Cremlino ha prontamente accettato la proposta degli Stati Uniti di creare il canale USA-Russia, Nuland e il suo omologo russo, Grigory Karasin, per la gestione bilaterale delle questioni ucraine, senza l’Ucraina e senza pubblicità. Questo canale è un diretto sottoprodotto dell’avvicinamento della Casa Bianca con la Russia per il Medio Oriente. Quando il riaccostamento era già avanzato ed era a buon fine sull’Iran, il canale Nuland-Karasin era diventato sempre più attivo. Dopo il loro incontro a Zurigo del 9 luglio, Karasin ha dichiarato: “Abbiamo deciso di incontrarci periodicamente per esercitare un’influenza costruttiva su Kiev, per facilitare l’adempimento degli accordi di [Minsk], da parte di Kiev, in primo luogo. Washington ha una grande influenza; ci auguriamo che i nostri contatti ci permettano d’utilizzarla”.
I media russi, citando Karasin, dopo le telefonate del 20 e del 22 luglio con Nuland, sulle “questioni pratiche relative alla riforma costituzionale in Ucraina”, mettono in allerta che Mosca si stia aspettando “un inizio di un dialogo diretto tra i rappresentanti di Kiev e quelli di Donetsk e Lugansk”; ma mentre Mosca offre tali curiosità, Washington non commenta per esempio, che la costituzione Ucraina fosse diventata un oggetto d’informali colloqui Usa-Russia.
La speculazione diffusa a Kiev è che, l’amministrazione Obama potrebbe a breve scambiare l’Ucraina con un “aiuto” russo (attuale e potenziale) sul Medio Oriente: quando è stata posta una domanda diretta sotto questo aspetto a Kiev, Nuland ha risposto: “È offensivo suggerire che gli Stati Uniti facciano compromessi. Gli Stati Uniti non commerciano una cosa per un’altra nelle relazioni internazionali”. Può ben essere che non esista nessun accordo, almeno non direttamente, e che l’indignata controreplica fosse del tutto sincera; ma, secondo Sergey Tolstov dell’Istituto di analisi politica di Kiev, la reazione in quella forma e in quel contesto “suonava ridicola a qualsiasi laureando in relazioni internazionali”.  
Il presidente Poroshenko ha cercato molto duramente, contro la sua saggezza, d’allineare alla base la coalizione di governo per questo emendamento costituzionale, tanto che alla fine ha fatto ricorso ad un argomento ben al di là delle qualità intrinseche del caso: “Non creare con le proprie mani una situazione che avrebbe lasciato l’Ucraina di uno contro uno di fronte all’aggressore”. A Poroshenko, se non si fosse adeguato, è stato forse minacciato di perdere il sostegno occidentale? Indipendentemente da ciò, alcuni deputati hanno rifiutato di votare l’emendamento costituzionale, o hanno votato contro, in controtendenza alla disciplina della coalizione. Al contrario, i gruppi parlamentari che hanno avuto origine dall’ex Partito delle Regioni, hanno tutti approvato questo emendamento costituzionale. L’emendamento è stato approvato grazie ai deputati dell’ex Partito delle Regioni; ma anche così, è ben al di sotto della maggioranza costituzionale che verrà richiesta nella lettura finale.

Gabrielis Bedris

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La posizione dell’amministrazione Obama nei negoziati di Minsk

La scorsa settimana l’Ucraina, sollecitata dal vice segretario di Stato americano, Victoria Nuland, ha fatto un primo passo per legalizzare costituzionalmente le autorità secessioniste presenti nella parte est del paese; allo stesso tempo, il vicepresidente americano Joseph Biden, ha chiesto al presidente ucraino Petro Poroshenko, di accettare le elezioni locali che si terranno sui territori occupati dai russi e, se necessario, convalidarle. Nella riunione del gruppo di contatto a Minsk di questa settimana, l’Ucraina ha affrontato ancora una simile pressione, destinata a legittimare le autorità di Donetsk e Lugansk attraverso le elezioni locali.
La Russia, l’Europa occidentale in generale e l’amministrazione di Barack Obama, sembrano tutti favorire il più rapidamente possibile un “congelamento” di questo conflitto, a condizioni accettabili dalla Russia, dal momento che questi sono gli unici termini attualmente disponibili; ma, in questo conflitto, ci sono due possibili modi per attuarli.
Il primo, quello “classico russo”, lo abbiamo visto con locali variazioni in Transnistria, Abkhazia, Ossezia del Sud, Karabakh e Crimea, dove le autorità secessioniste non hanno nessuna legittimità internazionale, status, o sovvenzione dal paese che hanno frazionato, oltre che nessuna possibilità di sovvertire il suo sistema politico; il secondo che è impostato per essere usato a Donetsk e Lugansk nell’est dell’Ucraina, è l’ultima evoluzione russa. In questa forma di “occupazione” non si risolve il conflitto, si dà una legalità alle autorità secessioniste, si re-inseriscono i leader separatisti nel sistema politico ucraino con prerogative che garantiscano l’instabilità, l’influenza russa e le sovvenzioni del governo centrale di Kiev alle zone occupate dai secessionisti resi legali.
L’amministrazione Obama sta spingendo per la seconda versione, quella più dannosa per l’Ucraina. La spinta degli Stati Uniti è molto forte, tanto, che le precedenti pressioni di Berlino e Parigi da sole, non erano riuscite a convincere Kiev a muoversi in questa direzione. 
La Casa Bianca ha riordinato le sue priorità politiche operando con la Russia nel Medio Oriente, di conseguenza è diventata empre più accomodante con la Russia per l’attuazione dell’armistizio di Minsk. Dalla data del 12 di maggio, con le aperture diplomatiche americane del segretario di Stato John Kerry al presidente russo Vladimir Putin a Sochi, al 14 luglio, con la firma dell’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano, sembra che il riavvicinamento degli Stati Uniti con la Russia sia una gratificazione per l’amministrazione Obama. Quest’ultima, ora spera in un “aiuto” russo in Siria; mentre l’Unione europea ritiene “d’aver bisogno” della Russia in Libia; quindi con o senza compromessi diretti oltre l’Ucraina, Putin ha messo tutto l’Occidente “nella posizione del debitore”.  
L’amministrazione Obama, ora ritrae la Russia di nuovo come un partner, sicuramente uno difficile, ma necessario, anzi un partner “indispensabile” per aiutare “congiuntamente a risolvere” i problemi comuni. Non descrive più la Russia come “isolata”, né come “semplicemente” una potenza regionale; la Casa Bianca considera Putin di nuovo, come un interlocutore desiderabile. I presidenti Obama e Putin hanno avuto due lunghe e dettagliate conversazioni telefoniche concentrate sul Medio Oriente. Nella loro prima conversazione, avvenuta il 25/26 giugno, Obama ha sparato violentemente che la Russia dovrebbe rimuovere le sue forze dal territorio ucraino; Putin, come al solito ha parato il colpo, sostenendo che la Russia non avesse forze in Ucraina, quindi non aveva nulla da ritirare. Nella conversazione tra i due presidenti del 15 luglio, non è stata trascritta nessuna notizia riguardante l’Ucraina.
Washington e Mosca hanno stabilito un inedito formato bilaterale dei negoziati sull’Ucraina, in cui l’Ucraina non è rappresentata. Il vice ministro degli esteri russo Grigory Karasin, e l’assistente segretario di Stato americano, Victoria Nuland, sono i due leader incaricati di questo canale. Gli Stati Uniti, come prima potenza occidentale, erano stati tenuti da parte da entrambi i formati esistenti, vale a dire dal gruppo di contatto di Minsk (Ucraina, Russia e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa-OSCE) e dal Quartetto Normandia (Russia, Germania, Francia e Ucraina, dove l’Ucraina è spesso isolata, ma almeno è rappresentata). I ministri degli affari esteri, l’americano Kerry, e il russo Lavrov, avevano discusso dell’Ucraina in modo intermittente e incoerente, ma mai in un apposito “format”.
Kerry ha proposto il canale bilaterale USA-Russia, a Sochi, una città fronteggiata da un lato dall’Abkhazia, occupata dai russi, e dall’altro dalla Crimea, allegata dalla Russia, senza fare menzione di questi due territori, ma ha avuto il coraggio, durante la conferenza stampa organizzata dai padroni di casa, di mangiare l’esca e d’avvertire il presidente ucraino Petro Poroshenko, di non violare l’armistizio.
Putin ha prontamente accolto la proposta di Kerry del canale Nuland-Karasin: in prima istanza, questo formato bilaterale esclude l’Ucraina dagli accordi, la quale è stata retrocessa ad una posizione secondaria, nascosta dietro i mandanti; in secondo luogo, la Russia e gli Stati Uniti agiscono in un campo superiore, al di sopra delle potenze europee, eliminando in particolare Berlino; in terzo luogo, consente a Mosca d’opporre questo canale al Quartetto Normandia “europeo”; in quarto luogo, di importanza determinante, Mosca insiste che gli Stati Uniti, da soli, debbano fare pressioni sull’Ucraina per dare le concessioni necessarie alla Russia, per esempio, cambiare la costituzione e legittimare le autorità di Donetsk e Lugansk.
Nuland e Karasin si sono incontrati più volte su base esplorativa, nei mesi di maggio e giugno. Il capo dell’amministrazione presidenziale russa, Sergei Ivanov, due volte ha dichiarato, che il formato bilaterale Russia-Stati Uniti può essere più efficace rispetto al formato Normandia. In tal senso, Lavrov ha invitato Kerry ad influenzare l’Ucraina per stabilire un dialogo diretto con Donetsk e Lugansk, che è la chiave per l’attuazione degli accordi di Minsk.
Nella prima conversazione telefonica tra i due presidenti, Putin ha definito ad Obama alcuni dettagli per “aiutare” gli Stati Uniti in Medio Oriente. Il canale Nuland-Karasin è stato pienamente attivato come un diretto sottoprodotto della chiamata telefonica dei due leader. Il 2 luglio, Nuland ha riferito ad un intervistatore russo, che Kerry avesse proposto, e che Putin avesse accettato, il canale Nuland-Karasin “per contribuire a facilitare l’attuazione degli accordi di Minsk”.
Gli Stati Uniti, però, non erano mai stati un partito del documento di Minsk Due, né hanno mai fatto nessuna dichiarazione di rafforzamento al gruppo Normandia, che si era impegnato a facilitare l’attuazione dell’armistizio. Ai primi di luglio, il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande hanno fatto pressioni sui leader ucraini affinché iniziassero a soddisfare l’attuale principale richiesta russa: legalizzare le autorità secessioniste nella costituzione dell’Ucraina, ma hanno fallito; in pochi giorni invece, Nuland, ha segnato il successo dove avevano mancato Merkel e Hollande.
Washington aveva mantenuto una certa flessibilità, mantenendo le distanze dal processo di Minsk profondamente difettoso; ma con una lodevole insistenza, citando l’armistizio di Minsk, aveva invitato la Russia a rimuovere le sue forze dal territorio ucraino, anche se tale documento non prevede che la Russia debba fare qualcosa. Gli Stati Uniti non erano mai intervenuti e non avevano mai chiesto a Kiev di legalizzare le autorità secessioniste nella costituzione dell’Ucraina, o di accettare le “elezioni” locali dei secessionisti; ma la visita di Nuland a Kiev, e la telefonata di Biden da Washington, hanno rimescolato bruscamente le carte in tavola.

Gabrielis Bedris

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Il settore destro sfida Kiev in Ucraina occidentale

L’undici luglio, tre persone sono state uccise e almeno 13 ferite nella città ucraina occidentale di Mukačeve, quando membri del settore destro (SD), un gruppo paramilitare nazionalista, hanno attaccato la polizia locale nei pressi di un club sportivo con fucili e granate. SD ha affermato a sua difesa che stava cercando d’impedire del contrabbando, ma che poi fossero stati attaccati dalla polizia; tuttavia, SD è sospettato di contrabbando e di racket nella regione della Transcarpazia, in particolare a Mukačeve. L’incidente ha spinto Kiev a rimescolare il governo locale e ad aprire diversi procedimenti penali. Eppure, SD ha apertamente sfidato Kiev, minando l’autorità del governo.
Dopo la sparatoria, circa una dozzina di militanti della sinistra dell’SD di Mukacheve, hanno facilmente respinto i deboli tentativi intrapresi dalla polizia per fermarli, poi si sono dispersi nei Carpazi. Due di loro si sono arresi, mentre la ricerca del resto del commandos non ha portato ad alcun risultato. Nel frattempo, il leader dell’SD a Kiev ha sostenuto che i suoi combattenti a Mukacheve volessero solo prevenire operazioni di contrabbando del “clan” di un deputato locale, Mykhaylo Lanyo, mentre l’intervento della “corrotta” polizia avesse interferito a suo nome. L’SD ha minacciato che i suoi combattenti potrebbero trasferirsi a Kiev per agire contro il governo, anche se l’SD stesso è accusato di coinvolgimento nel contrabbando. Lanyo invece, sostiene che la potente famiglia locale, Baloga, che è rappresentata nel parlamento ucraino da almeno quattro deputati, stia utilizzando il gruppo paramilitare SD in Transcarpazia, come una loro milizia privata.
Kiev, all’inizio della guerra dell’anno scorso, era seduta sopra ad un esercito di leva e male equipaggiato, ed è stata costretta ad utilizzare i “battaglioni” di volontari, alcuni dei quali, operando in modo lineare e con costanza, hanno aiutato a respingere l’aggressione xenofoba russa in Ucraina orientale. Di recente Kiev, ha cercato d’integrare questi battaglioni nell’esercito regolare con alterne fortune: il governo ha avuto particolari problemi nel caso di SD, i cui membri insistono di voler prendere ordini solo dal loro capo, Dmytro Yarosh, che è stato eletto lo scorso autunno nel parlamento ucraino.
Yarosh e SD stanno godendo d’ampio risalto nelle TV statali russe, utilizzate da Vladimir Putin come propaganda e strumento di mobilitazione politica. La mitica idea che l’SD fosse una diretta minaccia nei confronti dell’etnia russa in Ucraina, è stata utilizzata da Mosca tra le giustificazioni per l’annessione della Crimea e per fomentare i disordini nelle altre zone di lingua russa; tuttavia, anche il contributo dei gruppi SD alla originale rivoluzione Maidan e la conseguente resistenza alla Russia, sono stati eccessivamente elevati nei media: SD non è così numerosa e influente come può sembrare. Solo pochi membri SD, se del caso, erano tra i “Cento Celestiali”, che sono stati uccisi in Maidan nell’inverno 2014, e un portavoce SD ha di recente rivelato che solo due “battaglioni” erano stati schierati nella zona colpita dalla guerra nella parte orientale dell’Ucraina, sebbene alcuni dei suoi membri avessero giocato un ruolo ben documentato negli sforzi ucraini per difendere l’aeroporto di Donetsk.  
Il presidente Petro Poroshenko, sulla scia dell’incidente si è recato nella regione della Transcarpazia per sostituire il governatore locale, Vasyl Hubal, con il forte Gennady Moskal, che fino ad ora aveva governato Lugansk, la regione più colpita dalla guerra con la Russia. I responsabili locali delle forze dell’ordine sono stati tutti rimescolati. Un furioso Poroshenko ha accusato i due “clan”, di coinvolgimento nel contrabbando; ha osservato che gli eventi in Mukacheve, “screditassero i veri patrioti” e che fossero sospettosamente sincronizzati con un aumento delle tensioni lungo la linea di contatto nella parte orientale dell’Ucraina. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina, Jeoffrey Pyatt, che ha visitato la Transcarpazia per incontrare Moskal appena nominato, ha sostenuto che l’uso della forza deve essere solo una prerogativa del governo.
In risposta, SD ha reagito organizzando manifestazioni anti-governative in tutta l’Ucraina e anche con la messa a punto di sedicenti posti di blocco sulle strade per impedire all’esercito e alla polizia d’inviare rinforzi in Transcarpazia. Yarosh, ha chiesto le dimissioni del ministro dell’interno, Arsen Avakov, e ha sostenuto che Poroshenko non fosse adatto ad essere presidente. Inoltre, affrontando diverse centinaia di sostenitori durante una manifestazione a Kiev, il 21 luglio, Yarosh ha chiesto un referendum per sfiduciare il governo e per annullare gli accordi di Misnk di febbraio. Gli Stati Uniti e l’Unione europea stanno insistendo per l’attuazione degli accordi, mentre la Russia sta costantemente accusando l’Ucraina d’andare troppo lenta per implementare l’armistizio; ancora una volta, SD ha giocato, inavvertitamente o meno, nelle mani di Mosca.
Il contrabbando è un problema endemico della Transcarpazia: statisticamente è abbastanza povera e diviso dal resto dell’Ucraina da una catena montuosa, la regione si trova nel cortile di quattro membri dell’UE relativamente benestanti: Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania. Il contrabbando di sigarette ha aiutato gli abitanti ordinari del territorio a sopravvivere e ad arricchire i politici locali. Fino a quando le sigarette continueranno ad essere più economiche in Ucraina che oltre il confine, la campagna contro il contrabbando condotta da Moskal, si rivelerà probabilmente una missione impossibile, soprattutto se l’Unione europea non aiuterà ad arginare il flusso dal suo lato del confine.
Infine, i sedicenti Robin Hood, probabilmente pongono un rischio molto grave nel paese lacerato dalla guerra: a parte il terrificare la gente del posto e a spaventare gli investitori stranieri, rappresentano un’opposizione armata al governo ucraino, mentre le mani di Kiev sono piene di ribelli russi nell’est del paese. L’incidente di Mukacheve solleva questioni circa la capacità di Kiev di mantenere la legge e l’ordine, anche in aree lontane dalle regioni direttamente colpite dalla guerra con la Russia. I combattenti SD, scandendo slogan patriottici e viaggiando liberamente armati fino ai denti attraverso il paese, continuano a giocare per la macchina della propaganda del Cremlino.

Gabrielis Bedris

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Il caso dei colloqui bilaterali

Le telefonate tra i diplomatici di relativamente basso livello non sono normalmente notizia; ma ne è un’eccezione la conversazione di lunedì, tra il sottosegretario di stato Victoria Nuland, e il vice ministro degli esteri russo, Grigory Karasin, sul latente conflitto ucraino. Il carattere bilaterale della conversazione e la sua tempistica tra le pretese di violazioni del cessate il fuoco da parte delle forze governative e i separatisti ucraini, lo rende unico e molto significativo; inoltre, si ribadisce che l’evoluzione del conflitto ucraino, sia verso un accordo o verso un’escalation, non sarà più una forma delle azioni di Kiev, ma dalle attività e relazioni tra Mosca e Washington.
Dal momento che è iniziata la crisi in Ucraina quasi 18 mesi fa, spiccano in particolare, tra i numerosi colloqui e incontri, due formati di negoziazione: il primo sono i colloqui a Minsk fra i rappresentanti del governo ucraino, i separatisti filo-russi e l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che affrontano il conflitto a livello tattico; l’altro sono i colloqui formato Normandia tra i rappresentanti dell’Ucraina, Russia, Germania e Francia, che considerano il conflitto su un piano politico più ampio. Assenti da entrambi i colloqui, pur essendo uno dei principali attori politici, economici e di sicurezza dell’Ucraina e della situazione di stallo più ampio tra la Russia e l’Occidente, sono gli Stati Uniti. Washington è stata diplomaticamente attiva nel conflitto, ma i funzionari americani e russi non si sono incontrati molte volte per discutere ad hoc su questo aspetto.
Tuttavia, questa pratica potrebbe essere stata cambiata durante il mese scorso, quando il capo di Stato maggiore Sergei Ivanov, ha riferito in un’intervista, che la Russia e gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo per istituire un “formato bilaterale speciale” di colloqui tra i due paesi, dialoghi che coinvolgono Nuland e Karasin. Nello spiegare l’annuncio formale, Ivanov ha detto che l’espansione del formato Normandia, includendo gli Stati Uniti sarebbe stato semplicemente troppo “rischioso”, aggiungendo che i due paesi avrebbero coordinato i colloqui sull’Ucraina in modo bilaterale “per il momento”. Così la telefonata tra Nuland e Karasin ha avuto luogo per discutere dell’attuazione dell’accordo di Minsk e il processo di riforma costituzionale in Ucraina.
Che cos’è un diario geopolitico? Il conflitto ucraino è dentro un conflitto tra due imperativi geopolitici: la Russia vuole proteggersi utilizzando i suoi territori circostanti per stabilire un cuscinetto; gli Stati Uniti vogliono impedire l’ascesa di potenze regionali che potrebbero mettere in discussione l’egemonia statunitense. Questi due imperativi si sono scontrati in Ucraina, che, di tutti i paesi dell’ex periferia sovietica, ha un’importanza strategica elevata per la moderna Russia. Se l’Ucraina sostiene Mosca, la Russia diventa una potenza regionale in aumento; se l’Ucraina sostiene l’Occidente, la Russia diventa vulnerabile da dentro e da fuori. Il movimento euromaidan di febbraio 2014, ha invertito la posizione della Russia passandola dalla prima alla seconda; Mosca però, non è rimasta ferma, anzi ha risposto annettendo la Crimea e sostenendo l’insurrezione separatista in Ucraina orientale, nel tentativo di minare o neutralizzare il governo filo-occidentale di Kiev.
Finora il piano russo è rimasto soccombente: l’Ucraina si è allineata ancora più strettamente con l’Occidente, perseguendo una maggiore integrazione economica e politica con l’Unione europea e una maggiore sicurezza con la cooperazione militare con la NATO. Uno stretto rapporto dell’Ucraina con la NATO è particolarmente preoccupante per la Russia, che ha da lungo temuto che l’alleanza militare si spingesse sempre più vicina ai suoi confini. Mosca ha fatto molti sforzi per mantenere a bada l’influenza della NATO, mettendo pressione diplomatica sulla Georgia nel 2008, quando la Georgia per esempio, ha dichiarato la sua alleanza con la NATO; ha mostrato la sua preoccupazione per la NATO ancor più drammaticamente nel conflitto in Ucraina orientale; ma di tutti i paesi della NATO, il più forte che sfida la Russia in tutta l’ex periferia sovietica nelle politiche assertive e militari, sono gli Stati Uniti.
Il sospetto di lunga data russo, dell’influenza degli Stati Uniti nelle sue presunte zone di comando, rende la decisione d’avviare dei dialoghi su base bilaterale, un passo significativo. In un qualche modo, questi due paesi sono più potenti per plasmare un risultato politico e militare in Ucraina che gli ucraini e i separatisti stessi; ma il fatto che ci siano in atto tali colloqui, non indica necessariamente che sia vicina una soluzione o anche una de-escalation del conflitto. Molti problemi dividono ancora le due parti, in particolare che tipo di autonomia il governo centrale ucraino dovrebbe dare alle regioni ribelli.
Tutti i maggiori partiti del conflitto ucraino sostengono un certo livello di decentramento e la concessione di maggiori poteri ai governi regionali: il disaccordo è sui tempi e sulla portata del processo. La Russia considera il decentramento come un modo per mantenere una zona cuscinetto nella parte esterna est e un controllo diretto sull’Ucraina, mentre l’Ucraina lo vede come un modo per comprometterla, anche se conserva ancora efficacemente il controllo su tutto il paese. L’Ucraina vuole vedere che i separatisti attuino l’accordo di Minsk e depongano le armi prima che i funzionari emendino la costituzione nazionale e concedere ai territori orientali maggiore autonomia regionale; invece i separatisti vogliono prima i cambiamenti costituzionali, oltre che un ruolo nel determinare questi cambiamenti. Solo allora, dicono, possono attuare pienamente il cessate il fuoco.
In generale, gli Stati Uniti sostengono la posizione ucraina; la Russia sostiene i separatisti. Tuttavia, nel corso di una recente visita in Ucraina, che ha preceduto la conversazione telefonica con Karasin, Nuland ha fatto pesare sul dibattito dei deputi ucraini l’emendamento costituzionale. Nuland ha esortato l’Ucraina a dare alle regioni orientali del paese, un controverso e molto discusso, in base alla legge, “status speciale”. I funzionari ucraini non avevano incluso il termine nel progetto di modifica costituzionale, ma la pressione degli Stati Uniti potrebbe fornire molto sulla delicata questione, e potrebbe essere visto come un cenno di favore alla Russia.
Ma le azioni di Nuland potrebbero anche essere un tentativo più sfumato per aiutare l’Ucraina: le riforme costituzionali sono la cosa più sostanziale e irreprensibile dell’Ucraina, Mosca e i separatisti hanno meno spazio per criticare le modifiche e giustificare le proprie violazioni del cessate il fuoco. Washington ha fatto subito eco a Kiev nel chiedere che i separatisti dovevano rispettare il cessate-il-fuoco, minacciando la Russia con più sanzioni e, secondo alcuni rapporti trapelati, totali restrizioni all’accesso al credito di Mosca, se i separatisti continuano a violare l’accordo di Minsk.
Le reazioni russe sono state miste: il Cremlino ha parlato un po’ positivamente del processo di riforma, ma la Russia sta ancora influenzando il campo di battaglia ucraino mentre chiede ancora concessioni politiche per i territori separatisti. Mosca e Washington stanno cercando di raggiungere un accordo, mantenendo le loro opzioni di minacce aperte. I maggiori colloqui tra Nuland e Karasin, sull’evoluzione del conflitto ucraino e sul processo di riforma politica, saranno la vera prova dell’efficacia di questo nuovo dialogo bilaterale tra gli Stati Uniti e la Russia.

Gabrielis Bedris

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Putin non regala nulla

È raro, per lo meno in modo così eclatante, che i rappresentanti ufficiali degli Stati Uniti vadano in visita a dei parlamenti stranieri per convincerli a votare in un certo modo su qualche pezzo di legislazione; eppure la settimana scorsa, l’assistente segretario di Stato, Victoria Nuland, quando il parlamento ucraino era pronto a votare sugli emendamenti costituzionali del paese, si è recata a Kiev ed ha fatto proprio questo.
Nuland non era interessata ad una sola riga del disegno di legge, raccolto nella 7° pagina, che il presidente Petro Poroshenko aveva presentato al parlamento sulle “indicazioni del governo locale in alcuni distretti delle regioni di Donetsk e Lugansk che sono determinati da una legge speciale”; lei invece aveva delle richieste, le quali suonavano come una blanda disposizione, ma in realtà la linea era molto controversa: molti legislatori hanno rifiutato di votarle. Mustafa Nayyem, un membro del gruppo parlamentare di Poroshenko, ha avvertito che la “legge speciale” richiesta dalla Nuland, avrebbe potuto consentire a un futuro legislatore di concedere una secessione legale ai ribelli delle regioni filo-russe in Ucraina.
Il compito di Nuland era di convincere a sostenere la linea a Nayyem, e ad altri deputati che la pensavano diversamente. Prima della votazione, la segretaria di Stato, ha invitato i più recalcitranti ad un incontro presso l’Ambasciata degli Stati Uniti. Uno degli invitati, Leonid Yemets, ha spiegato in seguito che, il diplomatico americano ha “insistito sul fatto che questa doveva essere la dimostrazione della conformità dell’Ucraina con l’accordo di Minsk”, poi ha proseguito Yemets, ha iniziato a chiarire che in questo caso avremmo dovuto fare un sacrificio e poi saremmo passati a combattere la corruzione nel resto del Paese. Alcuni di coloro, che hanno preso parte alla lunga conversazione, hanno lasciato l’Ambasciata ancora prima della fine dei colloqui con varie motivazioni: “Perché il mondo vuole imporci uno statuto speciale per le cosiddette repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk?”, mentre il vice presidente Oksana Syroyid ha scritto su Facebook: “Il mondo vuole solo che questo diventi un conflitto interno, perché è stanco e vuole sbarazzarsi di questo argomento estremamente scomodo”.
È vero che l’Ucraina non è più sulle prime pagine dei mezzi d’informazione globale, e questo non va bene per un paese che è dipendente dagli aiuti e dalla simpatia occidentale e, allo stesso tempo, è ambito dal presidente russo Vladimir Putin come uno stato satellite o almeno un cuscinetto contro l’ulteriore espansione della NATO. Alcuni commentatori russi e ucraini anti-Putin hanno visto la visita di Nuland a Kiev e il suo tentativo di convincere i deputati, come un segno che gli Stati Uniti stessero vendendo l’Ucraina a Putin in cambio del suo sostegno per l’affare nucleare della scorsa settimana con l’Iran.
– Che cosa è la Russia che ha messo la sua firma sotto l’accordo per chiudere il programma nucleare iraniano? – ha esordito l’ex legislatore ucraino Taras Stetskiv – La Nuland è venuta a influenzare e controllare il voto perché lo statuto speciale per il Donbas fosse inserito nella costituzione.
Andrei Illarionov, l’ex consigliere di Putin, che ora è un suo avversario politico, ha suggerito che l’ulteriore sostegno russo alla Siria e all’Iran fosse parte di un patto “fatto senza la partecipazione dell’Ucraina a spese dell’Ucraina”.
Nonostante questi avvertimenti, giovedì scorso, il parlamento ucraino ha votato per inviare gli emendamenti proposti da Poroshenko alla Corte Costituzionale per la sua anticipata approvazione. Poroshenko ha reagito con rabbia alla retorica dei suoi avversari.
“Conosco un sacco di poesie patriottiche e canzoni – ha detto ad un certo punto il presidente – e mia moglie dice che sono un buon cantante. Poi ha intonato l’inno nazionale. Nuland era lì vicino in parlamento, come pure l’ambasciatore americano Geoffrey Pyatt, e, quando il voto ha preso la piega desiderata da Washington, hanno applaudito.
Il Cremlino, da parte sua, aveva denigrato le proposte costituzionali di Poroshenko: Mosca e suoi delegati in Ucraina orientale volevano una legge fondamentale ucraina che precisasse direttamente un’ampia autonomia delle regioni in mano ai ribelli. Ma questo non è prova sufficiente per sedare le teorie del complotto. Dopo tutto, il parlamento ucraino non avrebbe mai votato per tutto ciò che sostiene Putin e il suo popolo, anzi i rumori di disapprovazione di Mosca, avrebbero solo che aiutato il passaggio della legge.
Molto probabilmente, tale affare non è palese; eppure non è difficile credere che gli Stati Uniti e la Russia potrebbero essere all’inizio di un tacito accordo sull’Ucraina. Obama la settimana scorsa ha elogiato Putin per i “comportamenti” utili nell’affare Iran. Putin, tuttavia, non dà niente gratis.
Allo stesso tempo, l’Ucraina ha esagerato nel chiedere aiuti internazionali e simpatia. L’aggressione russa ad est è in stallo, ma l’Ucraina rimane indisciplinata, corrotta, economicamente supina e piena di gruppi armati. L’organizzazione ultranazionalista del settore destro, che era stata attiva e utile nella difesa contro i ribelli filo-russi, ha recentemente iniziato una mini guerra per il controllo del contrabbando delle sigarette in Ucraina occidentale, una situazione che ha irretito non poco Poroshenko e lo ha messo in moto per spegnere qualsiasi nuovo focolare.
Washington vuole che l’Ucraina sia stabile; il Cremlino, da parte sua, sta perdendo interesse per il conflitto armato che ha creato: vuole passare dalle interferenze militari alla più tranquilla destabilizzazione politica. Quando gli interessi dei grandi giocatori in gran parte coincidono, non ci vuole una cospirazione per farli collaborare.

Gabrielis Bedris

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