L’incontro di tre presidenti – il russo Vladimir Putin, il turco Recep Tayyip Erdoğan e l’iraniano Hassan Rouhani – a Sochi nello scorso mercoledì 22 novembre, avrebbe dovuto rappresentare un trionfo per la politica estera russa; invece, il vertice trilaterale ha inviato segnali confusi e lasciato contrastanti sentimenti.

Il sovrano siriano Bashar al-Assad è arrivato in Russia un giorno prima della riunione: Putin e Assad sono stati fotografati mentre s’abbracciavano amichevolmente prima di partecipare ad una riunione con tutto lo staff maggiore militare russo. Alla fine dell’incontro con i più alti “ottoni” in carica, Putin ha effettuato una serie di telefonate per informare i leader di Qatar, Arabia Saudita, Egitto e Israele del suo piano d’organizzare a Sochi una conferenza tra le parti coinvolte nella guerra siriana. La chiamata più importante, tuttavia, è stata quella effettuata al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in particolare perché il loro recente non-incontro a Đà Nẵng, in Vietnam, aveva lasciato Putin amaramente turbato.

Per quanto sia importante per il leader russo dichiarare la vittoria in Siria prima dell’inizio della sua campagna presidenziale – non ancora lanciata – per lui è ancora più vitale provare alla sua controparte statunitense che la Russia ha il controllo della fase finale di questa lunga guerra. La lettura della telefonata di Putin a Trump sottolinea la “reciproca soddisfazione” con la dichiarazione di una conversazione “costruttiva”; ma non è dato a sapere se la parte americana avesse espresso obiezioni al piano russo di potenziare il regime di al-Assad.

I media russi, si vantano di dover negare agli Stati Uniti e all’Unione europea qualsiasi ruolo nell’insediamento siriano e manifestano numerose richieste per interrompere la “illegittima” presenza degli Stati Uniti nella zona di guerra. La linea ufficiale, tuttavia, si inclina maggiormente verso l’idea di avere una qualsiasi sorta di cooperazione, piuttosto che “espellere” gli Stati Uniti dalle loro basi in Siria. Al vertice di Sochi, è stato solo Rouhani che si è rabbiosamente scagliato contro il sostegno “esterno” ai terroristi, mentre Putin ha assunto un tono molto circospetto.

L’Iran ha acquisito un importante ruolo nella Siria brutalmente “pacificata”, e ciò costituisce un serio problema per la Russia. Dopo il summit formale, Rouhani ha avuto un incontro separato con Putin, anche se sul contenuto di questi discorsi sono state rilasciate pochissime informazioni. Putin è certamente consapevole che la massiccia presenza iraniana in Siria è inaccettabile per Israele e per gli Stati Uniti, ma sa anche che la stabilità del regime di al-Assad dipende più da questo forte sostegno, che dalle basi russe a Latakia e Tartus. Teheran è preoccupata per i colloqui separati della Russia con gli Stati Uniti e la Giordania per le “zone di disarmo” nel sud della Siria. Di conseguenza, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, ha dovuto ricorrere all’ipocrisia diplomatica, quando ha spiegato che la promessa di incoraggiare “il ritiro delle forze non siriane dalla prevista zona di allentamento vicino all’altezza del Golan”, non coinvolgerà le truppe iraniane. La proposta avanzata da Israele e sostenuta dall’Arabia Saudita, di trasformare la coalizione dello Stato anti-islamico in un fronte anti-iraniano potrebbe non essere del tutto fattibile, ma rivela la debolezza del piano regionale russo per la costruzione della pace.

Un’altro punto gracile è l’ambivalente impegno turco con le “braccia della fratellanza” russo-iraniana. Il vertice trilaterale di Sochi ha avuto luogo esattamente due anni dopo che il jet da combattimento turco F-16 ha abbattuto il bombardiere russo Su-24, che ha provocato una grave crisi, con ancora delle zone d’ombra nelle relazioni bilaterali. Erdoğan si è dedicato molto alla ricostruzione della partnership del suo paese con la Russia; tuttavia, alla fine del summit di Sochi del 22 novembre, ha annunciato che la partecipazione dei “terroristi” curdi alla prevista conferenza di pace, “è una posizione inaccettabile per la Turchia”.

La questione curda è stata anche un argomento chiave della conversazione telefonica di Erdoğan con Trump dello scorso venerdì (24 novembre), ma Putin non può contare su nessun supporto di Washington nella sua manovra intorno a questo ostacolo. Il gruppo di personalità dell’opposizione, conosciuto come l’Alto Comitato per i Negoziati (HNC), sponsorizzato dall’Arabia Saudita, ha anche espresso un atteggiamento negativo nei confronti della conferenza promossa dalla Russia a Sochi. Mosca non può offrire ai ribelli di varie persuasioni incentivi finanziari o patrocinio politico, quindi deve fare affidamento sul potere convincente delle sue bombe.

Il tentativo di Putin di dominare l’insediamento in Siria è coinciso con il raduno annuale dei vertici russi, durante il quale il comandante in capo era particolarmente curioso d’udire come i moderni sistemi d’arma della Russia si fossero comportati nell’intervento siriano. Il compito principale di quest’anno prevedeva di finalizzare il programma di armamento dello Stato, che sarà in ritardo di almeno due anni: la scadenza è passata dal 2025 al 2027. La continua stagnazione economica ha costretto il governo a ridurre l’aumento delle spese per la difesa; tuttavia, i tagli più profondi sono andati ai programmi sociali.

Ciò che ha maggiormente impressionato comunque, è stata la direttiva lanciata da Putin a tutte le principali imprese, indipendentemente dalla proprietà, di “essere preparate nel momento del bisogno” ad incrementare la produzione di materiale legato alla difesa. L’enfasi sulla capacità di mobilitazione in stile sovietico abbatte tutte le modeste proposte di riforme economiche avanzate dall’ex ministro delle finanze Alexei Kudrin, che invano sostiene che è la crescita della povertà che costituisce la più grave e “vergognosa” sfida in Russia.

Il maggior talento del presidente Putin, sia nella politica interna, che in quella estera, è la sua capacità di raccontare a ciascun pubblico esattamente ciò che vuole sentirsi dire e di promettere ad ogni controparte un dono d’importanza cruciale. Questo trucco però, sembra che ultimamente non possa funzionare così bene: non può coinvolgere gli elettori anziani con promesse di futuri aumenti delle pensioni e allo stesso tempo soddisfare le richieste dei suoi generali; non può fare in modo che il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, creda che l’Iran ritiri le sue forze dalla Siria e non può convincere Erdoğan che la Russia sta prendendo a cuore gli interessi turchi per la questione curda.

Sembra essere in grado di rassicurare Trump, che è desideroso di essere persuaso sull’innocenza di Mosca quando si tratta di interferenze nelle elezioni americane del 2016; ma il corpo di prove raccolte dalle varie indagini condanna con forza Putin agli occhi del Congresso degli Stati Uniti. Nel frattempo, la “vittoria” di Mosca in Siria è minata dai crimini degli attacchi chimici portati avanti dal regime appoggiato dalla Russia a Damasco, dalla completa distruzione di Aleppo con il sostegno degli indiscriminati bombardamenti aerei russi, nonché dal fatto che Raqqa è stata catturata dalla coalizione sostenuta dagli Stati Uniti.

La pace in Siria dipende in ultima analisi dalla rimozione del regime di al-Assad, ma ciò, per gli intrighi di Putin, sarebbe pari ad un fiasco.