L’Amministrazione Trump, dopo aver giocato in mano alla Russia in Siria, ora rischia di ripetere l’errore in Ucraina, dove le discussioni diplomatiche per un’iniziativa russa si stanno facendo sempre più insistenti. Il piano di Mosca è quello di legittimare l’invasione e il controllo di parti delle due regioni orientali attirando il presidente Trump in un altro “perfido” affare.

Lo schema di Vladimir Putin è familiare. Usa le sue forze armate per intensificare i combattimenti sul terreno, poi si avvicina all’Occidente con una proposta venduta come una distensione, quindi, facendo appello ai desideri di pace europei e statunitensi, mette sul tavolo un presunto compromesso. Ma nei dettagli, le proposte di Putin sono esclusivamente progettate per dividere i suoi avversari e cementare i suoi guadagni.
È stato così a settembre, quando Putin ha presentato una proposta di “peacekeepers” all’interno dell’Ucraina orientale, dove la Russia continua ad alimentare una violenta insurrezione separatista che ha provocato oltre 10.200 morti e più di 1,7 milioni di sfollati dal 2014.

Ma come ha sostenuto il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Pavlo Klimkin nel recente Forum internazionale sulla sicurezza di Halifax, il piano di Putin non è affatto per i “peacekeeper”. Lui propone che le truppe internazionali si schierino solo per proteggere gli speciali membri della missione di monitoraggio per l’Ucraina dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (SMM OSCE).

“L’idea di una missione di mantenimento della pace è seria – ha affermato Klimkin – Ma la proposta russa per una missione di protezione non ha alcun senso”.
Per prima cosa, la proposta originale russa è di schierare le forze lungo la linea di contatto tra le forze militari e separatiste dell’Ucraina, cosa che invece, il governo ucraino vede come un semplice modo di Putin per fortificare una realtà che la Russia si è creata sul terreno.
Tuttavia, i sostenitori internazionali dell’Ucraina stanno prendendo sul serio la proposta. Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha chiamato Putin a settembre e lo ha convinto a cedere su un punto: Putin ha convenuto che la forza internazionale potrebbe essere schierata non solo lungo la linea di contatto. Ciò ha dato fiducia ai governi occidentali, e ingenuamente, hanno pensato di essere finalmente davanti ad una vera negoziazione con Mosca.

Il segretario di stato Rex Tillerson ha parlato dell’idea con il presidente dell’Ucraina Petro Poroshenko il 4 novembre. Kurt Volker, l’inviato speciale dell’amministrazione Trump per l’Ucraina, ha incontrato il suo omologo russo Vladislav Surkov il 13 novembre e ha proposto un controprogetto.
L’idea degli Stati Uniti, ha sostenuto Volker, è quella di creare una vera forza internazionale di peacekeeping che abbia non solo il libero arbitrio, ma anche l’autorità di sicurezza in tutte le aree contestate. La forza deve avere accesso al confine tra Ucraina e Russia e non avere personale russo tra i suoi ranghi, ha sottolineato.

Mosca ha respinto 26 dei 29 paragrafi della proposta di Volker. Ma Volker insiste nel voler continuare a negoziare: per Volker il piano di mantenimento della pace rappresenta la migliore speranza per tornare a Minsk II, l’accordo di pace che sia l’Ucraina e la Russia si sono impegnate a seguire.
Questo processo è in stallo soprattutto perché è la Russia che non sta rispettando le disposizioni che impongono un cessate il fuoco, la rimozione delle sue armi pesanti dall’Ucraina orientale e l’accesso al confine. La Russia non riconosce nemmeno d’avere forze sul terreno in Ucraina orientale, tanto meno le può rimuovere.

La strategia degli Stati Uniti però, si basa sul presupposto che Putin stia cercando – o almeno considerando – una via d’uscita dai suoi impegni finanziari e militari che lo vedono coinvolto in Ucraina orientale. Se l’obiettivo a lungo termine di Putin è quello di creare una Ucraina pro-Mosca, la sua continua interferenza sta avendo l’effetto opposto, ha sostenuto Volker.
“Quello che stiamo cercando di fare è di chiarire le opzioni – ha espresso Volker – Se la Russia vuole continuare a scavare, è possibile, ma le costerà molto. Se vuole dialogare, deve essere su un qualcosa su cui siamo tutti d’accordo e possiamo trovare un modo per farla funzionare”.

Anche l’Ucraina ha delle responsabilità sotto Minsk, compresa la partecipazione alle elezioni locali nel Donbas occupato, conferire alla regione uno status speciale e garantire un’amnistia ai separatisti. Questo potrà accadere solo se Putin recede dal suo fine.
Ma se l’obiettivo di Putin è di rimanere in Ucraina, mantenere il paese destabilizzato, impedirgli di unirsi alle istituzioni europee e mantenere il controllo su una zona cuscinetto, non accetterà mai una missione di mantenimento della pace che soddisfi l’Ucraina o le condizioni occidentali.
Molto probabilmente Putin sta ripetendo la sua strategia che ha già attuato in Siria, in cui si è impegnato in una diplomazia Kabuki con gli Stati Uniti per procurarsi il tempo di consolidare i guadagni ottenuti sul campo di battaglia che non ha intenzione di mollare.

Trump – e prima di lui, il presidente Barack Obama – sono stati d’accordo, assicurando che la successiva fase del conflitto si allontanasse dalle condizioni russe.
Trump e Putin hanno parlato il 21 novembre e “hanno discusso su come realizzare una pace duratura in Ucraina”, secondo la Casa Bianca, Trump è d’accordo di perseguire la pace, ma non nei termini di Putin.
Nel frattempo, in linea con l’ibrida strategia diplomatica impostata e sperimentata dal Cremlino, il “governo” dell’annessa Crimea ha fatto sapere tramite Aleksandr Molokhov, il capo del comitato di esperti di diritto internazionale della penisola di Crimea, che intende appellarsi alla Corte di giustizia europea contro le sanzioni che gli sono state imposte.

“Il lavoro è in corso, e se non sarà quest’anno, sarà il prossimo, ma lo faremo sicuramente. Stiamo lavorando in due direzioni: la prima è contro le sanzioni personali, qui stiamo scegliendo un candidato a cui sono state indebitamente introdotte le sanzioni; la seconda è direttamente contro tutte le sanzioni imposte alla Crimea – ha sottolineato Molokhov – La difficoltà è che dovremo andare in un tribunale estero, presso la Corte di giustizia europea in Lussemburgo, e ciò richiede un importante budget di spese, ma agiremo di sicuro”.

In aggiunta non si è fatta attendere la dichiarazione del segretario del Consiglio d’Europa, Turbern Yagland in cui, in un’intervista con il Financial Times, ritiene che sia arrivato il momento di revocare le sanzioni contro la Russia.
Il motivo della revoca è la paura che la Russia possa lasciare l’organizzazione, e questo sarà un duro colpo per la tutela dei diritti umani. Mosca insiste per riottenere il suo diritto di voto nell’Assemblea parlamentare del Consiglio, di cui è stata privata nel 2014 dopo la sua illegale annessione della Crimea. Jagland ha sostenuto che se non venisse soddisfatto questo requisito, la Russia lascerà l’organizzazione, e questo priverebbe 140 milioni di russi dell’accesso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

“È davvero molto, molto brutto se la Russia lasciasse (la organizzazione – NdA), perché la Convenzione (sui diritti umani – NdA) e la Corte sono molto importanti per i cittadini russi. Questo è uno sviluppo negativo per l’Europa, perché avere un’Europa senza la Russia sarà un grande passo indietro per l’Europa stessa – ha affermato il segretario generale del Consiglio – … Il nostro mandato è di proteggere i diritti umani in Russia e in Crimea, e in ogni dove sul continente c’è gente …”.
Ricordiamo che un primo tentativo di APCE per far revocare le sanzioni contro la Russia è avvenuto il 10 ottobre 2017 la cui “motivazione” allora è stata legata ad un fattore economico.

È incredibile come la prima preoccupazione dei funzionari addetti non sia di guardare al futuro della regione, alla protezione delle popolazioni e alla violazione delle leggi a cui tutti indistintamente siamo sottomessi, ma di porsi come “favorevolmente disposti” verso Mosca, senza accorgersi che così facendo, se oggi dovessero revocare le sanzioni alla Russia senza ottenere in cambio nessuna concessione per la Crimea e il Donbas, oltre che soggiacere al ricatto del Cremlino, si rendono persone squallide e delegittimate per il fatto di abrogare un pena imposta tre anni fa per dei reati gravissimi, che tuttora giornalmente si perpetuano, e al momento, senza una ragione legale o seriamente sostenibile, se ne lavano le mani e la sopprimono; privandosi anche di pensare che l’azione potrebbe innescare una reazione a catena di annullamenti da parte di altri organismi.
Tanti funzionari si stanno comportando come gli ospiti del “Titanic” che continuavano a ballare mentre la nave stava affondando… I politici addetti sembra che si premurino di far sapere che faranno delle interpellanze e interrogazioni e che si impegneranno per dare risposte certe e azioni concrete…

Direbbe Totò… ma mi faccia il piacere!
Sono anni che la Russia non sta rispondendo in maniera adeguata alle sue sconsiderate azioni senza che si riesca ad avere delle risposte con conseguenti sviluppi pratici in merito da parte della politica internazionale.

Io mi chiedo: ma perché chi si dovrebbe preoccupare non ne sente il desiderio o la necessità? Perché la politica sembra insensibile a queste battaglie? Perché lasciare che una guerra di aggressione distrugga un popolo e una nazione? Forse che si tratta di battaglie difficili che potrebbero urtare “poteri forti”? Ma allora, che cosa è più importante, l’agire nel bene dei cittadini ed elettori o stare zitti per non disturbare ed accontentare i potenti e i prepotenti?

A voi l’ardua sentenza, a noi non rimare che dire che certe battaglie si possono e devono fare! E Kyiv, in prima linea, lo dimostra ogni giorno.